Nessuno potrà togliervi la vostra gioia.

PRIMA LETTURA: At 18,9-18

In questa città io ho un popolo numeroso.

SALMO: (Sal 46)

Dio è re di tutta la terra.

Oppure:

Alleluia, alleluia, alleluia.

«In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:

«In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.

La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla».

Gv 16,20-23a

Il testo evangelico parla della gioia. La Chiesa è nella gioia perché il suo Sposo è risorto e ci ha liberati, colui che ella desidera la porta già nel suo cuore e vuole che i suoi figli adottino i costumi del paradiso, luogo della gioia e della lode perpetua. Tuttavia qui sulla terra il canto della Chiesa, anche nella gioia pasquale, resta intriso di una dolce tristezza, espressa dal Vangelo, talvolta da gemiti, poiché lo Sposo ha ricevuto una ferita d’amore che non guarirà che nel Cielo ed ella resta qui in basso come una donna in eterno travaglio.

Il Signore non nasconde la condizione del cristiano nel tempo, il quale crede in Cristo ma non lo vede e attende di vederlo, un’attesa che ha la sua prima rappresentazione nei giorni tristi della Passione, quando gli apostoli, pur sgomenti e dispersi, attendevano la resurrezione anche se in modo incerto.

Noi viviamo tra la Pentecoste e la fine dei tempi: siamo sì nella certezza della Resurrezione di Cristo, ma anche nella tristezza, una tristezza soprannaturale dovuta alla privazione di un bene soprannaturale, il Regno di Dio. Non si tratta tuttavia di una privazione totale.

Il Signore fa un paragone estremamente delicato ed espressivo: la madre nel travaglio del parto possiede già quello che attende, così il Regno di Dio è già in noi e noi speriamo ciò che possediamo, però ancora non lo possediamo finché non vedremo il Regno di Dio faccia a faccia come la mamma vede il figlio che le è nato. Abbiamo in noi il Regno di Dio come una gestante porta il figlio.

La nostra vita è un mistero simile al travaglio di una partoriente, ma il suo frutto «sarà senza fine, poiché niente potrebbe appagarci completamente se non quello che è infinito» (Sant’Agostino).