Non ci possiamo accorgere del sorriso di Dio se il nostro cuore è pieno di noi stessi. Se la nostra unica preoccupazione è quella di apparire, se la nostra ansia di essere accettati, accolti, applauditi ci strangola e monopolizza ogni nostro pensiero, ogni nostra azione. Non possiamo fare spazio a Dio se diventiamo “dio” per noi stessi. Questo ci insegna, oggi, la splendida pagina di Giovanni che vede protagonista il Battista. Sono venuti da lontano per interrogarlo, la gente accorre da tutto Israele per ascoltare la sua predicazione e per farsi battezzare. Tutti pensano, in cuor loro, che sia lui il Messia: ne ha le qualità e la forza. Potrebbe prendersi per Dio, ma non lo fa. Vive con verità ed umiltà il suo ministero, la sua missione. Molti pensano che per essere credenti occorra dimenticare se stessi. Il vangelo, invece, pone al discepolo delle domande che il Battista risponde sulla sua identità sempre con un no: non è il Cristo, non è Elia, non è il profeta atteso.

Non è la Luce, ma si è lasciato illuminare da essa. Non è la Parola, ma ne è la voce. Gesù non è ancora famoso e Giovanni già lo pone davanti a se, spostando l’attenzione dalla sua persona a quella del Cristo.

Da un lato vuole portare a compimento con decisione la sua missione, senza nulla concedere ai suoi detrattori, dall’altro sa stare al suo posto.

Oltre a riflettere su quanto ha potuto fare con la sua testimonianza, è bene fermarsi, dunque, su quanto non ha fatto.

Giovanni non è caduto nella tentazione di usare la chiamata del Signore a suo vantaggio (anche solo per ricevere la stima e l’obbedienza di tanti discepoli). Non ha preteso di essere qualcuno. Non è inciampato nel rischio di usare la parola profetica dell’Antico Testamento per avvalorare le proprie idee, più che farsi plasmare da essa e servirla.

Si è fatto strumento senza strumentalizzare. Ha vigilato su se stesso, per non mettersi mai prima di Dio. E questo non è facile. Chi si impegna in una vita di fede seria può sperimentare, talvolta, la sottile tentazione di decidere e fare da se, dando per scontato di sapere tutto sui pensieri di Dio, ma senza interpellarlo veramente. E’ soprattutto la routine ad impedirci di interrogarci, se ci facciamo strumenti o se strumentalizziamo i doni del Signore, la Scrittura, le responsabilità ricevute, per ingrassare il nostro ego, che, nascosto sotto tanti ragionamenti, si fa strada quasi a nostra insaputa. Ecco allora la necessità di fare nostro l’invito di San Paolo: rimanere saldi in quanto si è ricevuto da principio, rimanere nel Padre e nel Figlio per non stare fermi solo su noi stessi e sulle nostre posizioni.

“Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elìa?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa». 
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elìa, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». 
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.”

Gv 1,19-28