Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto.
PRIMA LETTURA: Gal 2,19-20
Non vivo più io, ma Cristo vive in me.
SALMO: (Sal 33)
Benedirò il Signore in ogni tempo.
«In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Gv 15,1-8
La parabola della vite mette a fuoco la relazione che intercorre tra Gesù e i suoi discepoli. La comunione non è un ideale astratto ma è la natura propria di Dio che si incarna nel «Corpo» della Chiesa in cui si instaura un legame relazionale tra Cristo, che è il suo capo, e noi, le membra. Gesù stesso svela il codice interpretativo della parabola quando dice di essere «la vite» e i suoi discepoli «i tralci». In natura la vite non esiste senza i tralci, e viceversa, e la vite porta frutto attraverso i tralci, i quali hanno proprio questa funzione.
La vocazione, ovvero il senso dell’esistenza della vite è quella di fruttificare. Il discepolo, come il tralcio, rimanendo unito alla vite, che è la Chiesa, partecipa alla medesima vocazione di Gesù. Il frutto è realizzare la volontà del Padre che si prende cura della vite-Chiesa perché si compia il suo progetto di salvezza per tutti. Di qui la necessità di vivere la fede come una relazione di intimità e feconda comunione con Cristo affinché la Parola del Padre, che nutre la vita del Figlio, renda viva l’esistenza dei suoi discepoli ed efficace la loro missione nel mondo.
Un cristiano non può dirsi tale se non lascia fluire costantemente nel suo cuore la sapienza dell’amore che scaturisce dalla Comunione della Trinità. La Parola ascoltata, meditata e assimilata, ispira la preghiera intesa non solamente come espressione vocale fatta con la bocca ma come l’offerta di tutta la vita al Padre perché, attraverso i propri mezzi poveri e insufficienti, Lui possa compiere la sua volontà. È dai frutti che si riconosce se siamo tralci uniti alla vite o rami secchi.
I frutti sono le nostre parole, le nostre azioni volte a far gustare agli altri il dolce sapore della pace offertoci dalle mani di Dio. Parole e gesti offensivi sono certamente il segno rivelativo di quell’aridità interiore causata dall’orgoglio. I frutti sono solo quelli che nascono da un processo di maturazione umana e spirituale guidata dallo Spirito Santo. Senza di Lui nella nostra vita è solo apparente piena di foglie ma priva di frutti.
Oggi ricorre la festa di Santa Brigida di Svezia ed a riguardo sottolineiamo la sua prima orazione che dice:
“O Signore Gesù Cristo, eterna dolcezza di coloro che ti amano, giubilo che trapassa ogni gioia ed ogni desiderio, salvezza ed amore di coloro che si pentono, ai quali dicesti:” Le mie delizie sono con i figlioli degli uomini” e Ti sei fatto uomo per la loro salvezza, ricordati dei motivi che ti spinsero a prendere la carne umana e di tutte le sofferenze che sopportasti dal principio della tua incarnazione fino al tempo della tua santa Passione.”