Non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro.

PRIMA LETTURA: At 6,8-10.12; 7,54-60

Ecco, contemplo i cieli aperti.

SALMO: (Sal 30)

Alle tue mani, Signore, affido il mio spirito.

«In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:

«Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani.

Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.

Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato».  

Mt 10,17-22

Oggi, appena assaporata la profonda esperienza della nascita di Gesù, cambia la scena liturgica. Si potrebbe pensare che la celebrazione di un martire, non si adatta al fascino del Natale.

Parlando ai suoi discepoli, Gesù anticipa quello che accadrà nel loro servizio al Vangelo. È alquanto singolare che il maestro non cerchi di convincere i suoi seguaci ad aderire a lui prospettando scenari favolosi e attraenti. Al contrario, sembra quasi che li voglia scoraggiare. In realtà Gesù vuole sgomberare il campo dagli equivoci. «Guardatevi dagli uomini» – dice – «perché vi consegneranno ai tribunali», perché siete di Cristo.

I discepoli non devono scandalizzarsi se soffrono ingiustizie, calunnie, giudizi e questo proprio da coloro ai quali si è offerto un servizio o si è fatto del bene. Quanto più il bene si fa per amore, anche se viene frainteso e si trasforma in accusa, tanto più diventa eloquente ed efficace perché solo l’amore ci salva dalla spirale della violenza. Lo Spirito Santo li ispirerà nel parlare la lingua della speranza e della carità, che si oppone a quello delle accuse e dei giudizi.

La perseveranza nella carità, sostenuta dalla piena fiducia nell’amore di Dio, ci salva dal pericolo di essere avviluppati dalle maglie mortifere dell’egoismo e dell’individualismo. Il Figlio di Dio, diventando uomo, ha portato la luce che illumina le tenebre del mondo spesso dominato dal male, che contrappone gli uni agli altri.

Essi, accecati dal peccato, non si riconoscono consanguinei ma estranei o addirittura nemici da eliminare. Gesù, luce del mondo, viene a rischiarare chi vive e subisce queste tenebre, offrendo loro il dono dello Spirito Santo. Chi fa agire e parlare lo Spirito in sé stesso, diviene luce che il mondo non potrà mai spegnere.

Il martirio di Santo Stefano, che veneriamo come protomartire della cristianità, ricade nella teologia dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Gesù è venuto sulla terra per versare il suo Sangue per noi. Stefano fu il primo a versare il suo sangue per Gesù. Leggiamo nel Vangelo come Gesù stesso lo annuncia: «Vi consegneranno ai loro tribunali (…) sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia» (Mt 10,17.18). Precisamente “martire” significa proprio questo: testimone.

Questa testimonianza nella parola e nell’azione viene data grazie alla forza dello Spirito Santo: «È lo Spirito del Padre vostro che parla in voi» (Mt 10,19). Tale come leggiamo negli “Atti degli Apostoli”, capitolo 7, Stefano, portato in tribunale, ha tenuto una lezione magistrale, facendo un percorso per il Vecchio Testamento, dimostrando che tutto converge nel Nuovo, nella persona di Gesù. In lui viene compiuto tutto ciò che è stato annunciato dai profeti e insegnato dai patriarchi.

Nel racconto del suo martirio incontriamo una bellissima allusione trinitaria: «Stefano, pieno di Spirito Santo, fissati gli occhi nel cielo, vide la gloria di Dio, e Gesù stare alla destra di Dio.” (At 7,55). La sua esperienza era come un assaggio della gloria del cielo. E Stephen morì come Gesù, perdonare coloro che hanno sacrificato: “Signore, non tenere questo peccato» (At 7,60); pregò le parole del Maestro: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34).