PRIMA LETTURA: Am 2,6-10.13-16
Calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri.
SALMO: (Sal 49)
Perdona, Signore, l’infedeltà del tuo popolo.
«In quel tempo, vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all’altra riva.
Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, ti seguirò dovunque tu vada». Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
E un altro dei suoi discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli rispose: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti».
Mt 8,18-22
Gesù ci “ordina” oggi perentoriamente di passare all’altra riva, ci spinge cioè ad entrare con Lui nella Pasqua, attirati nel suo passaggio dalla schiavitù alla libertà. Ciò significa che il desiderio di felicità e di pace che abbiamo dentro, la speranza di non restare invischiati tra le maglie dei problemi, delle preoccupazioni mondane, delle angosce, è molto più di un desiderio e di una speranza: è un “ordine” del Signore.
Il senso profondo della nostra vita, ovvero la direzione che dà senso e pienezza a ogni istante, è quello che ci fa “passare all’altra riva”, ogni giorno. L’invito a passare all’altra riva non significa che Gesù indichi come meta del discepolato una vita migliore o più facile. Per questo motivo Gesù sembra sgombrare il campo da ogni possibile equivoco e parla di sé come colui che non ha garanzie umane da offrire perché lui stesso vive la precarietà. Benché sia senza fissa dimora e la sua scuola sia la strada, Gesù punta con i suoi discepoli alla stabilità di fede che si traduce in maturità affettiva ed equilibrio spirituale. Passare all’altra riva è il modo di “seguire” il Signore. Lui, infatti, non ci offre un comodo cuscino dove posare la testa, un modo borghese di vivere, dove le scelte sono compromessi in linea con ciò che ci propone il mondo. Lui ci offre molto di più, ci offre la pienezza di vita già su questa terra.
Spesso, infatti, neanche i rapporti chiamati ad essere i più santi, come quelli familiari, possono offrire un “luogo dove reclinare il capo”. Anzi, vissuti nel limite della nostra umanità, possono essere un ostacolo per seguire la nostra vocazione. E non c’è nulla da fare: più si tenta di “seppellire i morti”, ovvero più si cerca di riordinare e spazzare via i motivi delle contese e dei problemi, e più questi si moltiplicano. Per questo può “seguire ovunque” il Signore solo chi ha crocifisso la sua carne e i suoi desideri, perché vive del Suo amore e questo gli basta e lo sazia.
Gesù non sta dicendo di non curare i propri cari o di non accompagnarli sino alla morte, anzi. Ci dice invece di amare ogni persona, anche le più care, di un amore celeste. E questo, a volte, ci conduce a superare le consuetudini umane e religiose. Per amore a Cristo e al Vangelo—e quindi per un amore vero all’altro—siamo chiamati anche ad affondare la lama del coltello nel cuore, se questo è necessario a passare all’altra riva, se questo serve a non barattare la nostra salvezza e quella dell’altro con un po’ d’affetto e consolazioni umane. Seguire Gesù, infatti, è molto di più che seppellire i morti; anzi, è l’esatto contrario: è camminare nella morte per giungere alla vita.
La folla radunata attorno a Gesù testimonia la fama crescente di cui gode. Ma egli non vuole essere ingabbiato nelle attese mondane della gente, fossero anche esponenti delle classi più alte ed istruite della società come lo scriba che si autocandida a divenire suo discepolo.
Radicato nell’amore di Dio, chi segue Gesù da lui impara ad amarlo con tutto sé stesso e il fratello come il suo prossimo. Questa è la riva verso la quale tende il cammino del discepolo. Egli, infatti, non deve legare la riuscita della sua vita al possesso di beni, ma mira a lasciarsi possedere dal Bene, l’unico Bene, il sommo Bene.
Seguendo Gesù il discepolo impara non a possedere ma ad appartenere. Al tale che vorrebbe temporeggiare nel seguire Gesù il Maestro indica nella sequela l’unico modo per assecondare la vera urgenza: diventare santi. Non si deve rimanere sulle sponde della lamentela, della rassegnazione, del vittimismo, della visione mondana della vita, ma bisogna osare ad andare oltre, cioè puntare alla santità.
Per passare all’altra riva è necessario affrontare il mare con tutte le sue incognite, ma con la certezza di non essere soli e nella fiducia che chi ci guida conduce ad un approdo sicuro. Ciò che spinge ad andare oltre non sono prospettive tipicamente mondane. Gesù non promette benessere ma assicura la vita eterna, cioè la bellezza dell’essere amati e la capacità di amare.