Mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio… Nessun profeta è bene accetto nella sua patria.
PRIMA LETTURA: 1Ts 4,13-18
Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti.
SALMO: (Sal 95)
Il Signore viene a giudicare la terra.
«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi
a proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino».
Lc 4,16-30
Il programma di vita di Gesù è riassunto nelle parole del profeta Isaia che proclama nella sinagoga di Nazaret dinanzi ad una platea di parenti, amici e conoscenti. «Ora si è compiuta la parola che voi avete udito con i vostri orecchi». La Parola di Dio si compie quando chi l’ascolta e la proclama, l’accoglie con docilità e umiltà. Gesù sente rivolte a sé quelle parole profetiche: egli è il consacrato di Dio, cioè colui che, “impregnato” di Spirito Santo, gli appartiene totalmente ed è perciò inviato agli uomini per evangelizzare. Gesù, Figlio di Dio in mezzo ai figli degli uomini, povero tra i poveri, è la Parola di Dio che dona gioia ai miseri, luce ai ciechi, libertà agli schiavi, dignità agli oppressi, consolazione e speranza agli sfiduciati.
Proprio perché si è fatto povero Gesù si è lasciato plasmare dallo Spirito Santo che lo ha consacrato e lo ha inviato a evangelizzare. Le parole di grazia che escono dalle sue labbra non scaturiscono da una mente allenata allo studio sui testi ma dal suo cuore che continuamente si esercita a cercare il volto di Dio. La sapienza non è acquista in aule accademiche e sugellata da titoli di studio ma è attinta dalla vita di tutti i giorni, stando in mezzo alla gente e partecipando delle sue vicende tristi e liete, delle speranze e delle preoccupazioni dell’uomo comune.
Parimenti il luogo in cui risuona il Vangelo, e ancora di più dove s’incarna nella storia, non sono le aule accademiche o i circoli in cui si parla di Dio, tuttavia senza neanche incontrarlo, ma in quei templi resi sacri dal Signore che si fa vicino agli afflitti e visita chi è nel dolore. In questi santuari Dio giunge con la delicatezza della rugiada che ristora l’affaticato e della luce dell’alba che annuncia alla sentinella l’avvento di un nuovo giorno.
Tutti i luoghi di sofferenza sono visitati da Dio, ma non tutti lo accolgono. Prima di accogliere la salvezza bisogna accettarsi come bisognosi di salvezza senza avere vergogna di riconoscersi mancanti, ciechi, schiavi e dipendenti dal male. Se le aspettative mondane occupano tutto il posto del nostro cuore non ci sarà lo spazio per la grazia di Dio. Gesù ci chiede di seguirlo nel suo cammino perché insieme a Lui possiamo discernere la voce di Dio e quella del proprio io per obbedire alla sua chiamata e disobbedire al richiamo della carne.