Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio.
PRIMA LETTURA: 2Pt 3,11b-15a.17-18
Aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova.
SALMO: (Sal 89)
Signore, tu sei stato per noi un rifugio
di generazione in generazione.
«In quel tempo, mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso.
Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?».
Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono.
Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio».
E rimasero ammirati di lui».
Mc 12,13-17
Nell’ultima settimana della vita di Gesù sono concentrati alcuni incontri, tra cui quello con una delegazione composta da farisei ed erodiani. Sono due categorie di persone molto differenti tra loro; i primi stretti osservanti della legge che mal digeriscono l’ingerenza dell’imperatore romano nelle questioni religiose, i secondi invece sono filogovernativi.
Alle domande insidiose dei farisei e degli erodiani, Gesù risponde non cadendo nel loro gioco e mostrando come i due ambiti diversi, ciò che è di Dio e ciò che è di Cesare, debbano rispondere a logiche diverse.
Con la celebre frase non invita tanto coloro che si occupano di Dio a disinteressarsi della politica, ma piuttosto chiede di tenere i due livelli separati. Dev’esserci quindi una coesistenza pacifica e un rispetto di entrambe le autorità, terrene e di Dio, ma bisogna che le cose materiali restino a livello terreno, mentre la vera fedeltà sia dovuta solo a Dio.
Nella nostra vita quotidiana non riusciamo a separare ciò che è di Dio da ciò che è di Cesare quando non viviamo in modo equilibrato e responsabile sia nel contesto spirituale che in quello temporale, quando permettiamo che le questioni materiali prevalgano sulle verità spirituali e quando non ci sforziamo di portare l’influenza dell’insegnamento di Gesù in tutte le aree della nostra vita e della società.
Ogni volta che non riconosciamo che il vero tesoro è Dio e che niente ha più valore se lui non è al centro, allora non stiamo dando a Dio ciò che è di Dio. Chiediamoci quindi cosa ha la priorità delle nostre preoccupazioni, cosa riempie il nostro cuore e la nostra mente, e se Dio non è tra queste iniziamo a fargli spazio.
Essi pongono la questione sulla liceità del tributo da pagare all’imperatore. Gesù è chiamato in causa, a dispetto di quello che affermano all’inizio, non perché lo rispettino e ne ammirino la sapienza, ma per avere un motivo per accusarlo. In altri termini, essi sono veramente ipocriti perché nascondono il loro reale volto e le loro intenzioni dietro la maschera di coloro che vorrebbero essere illuminati da una parola autorevole che indichi loro la cosa giusta da fare.
In realtà essi vogliono che Gesù, sbilanciandosi da una parte o dall’altra, si schieri. Anche noi siamo esposti alla tentazione tante volte quando siamo contattati o siamo depositari di confidenze e indotti a prendere una posizione a favore o contro qualcuno. Gesù, anche se è chiamato in causa come una sorta di giudice, non sta al gioco e, rifiutandosi di giudicare sulla liceità del tributo, eleva il discorso da un piano politico e sociale a quello teologico e antropologico.
Proprio perché Gesù insegna la via di Dio secondo verità, egli non si ferma all’apparenza o alle questioni secondarie, come sono quelle legate alla logica della spartizione del potere, ma punta dritto alla verità e va al cuore delle cose. Il suo ragionamento non è elaborato in astratto o per partito preso, ma parte dal contatto con la realtà.
Per questo vuole vedere la moneta del tributo. C’è un’evidenza riconosciuta da tutti; l’immagine e l’iscrizione appartengono all’imperatore. Così ogni uomo, secondo il racconto della Genesi, è l’immagine di Dio e porta il suo nome. Il denaro è di Cesare mentre l’uomo appartiene a Dio. Spesso questa verità la nascondiamo a noi stessi anteponendo all’appartenenza a Dio Padre la dipendenza altre cose.
La vera fede non contrappone le persone in nome di una ideologia o di una specifica appartenenza partitica, ma riconosce al di là delle differenze, il comune legame filiale a Dio che ci fa fratelli. La fede non orienta le scelte partitiche ma quelle esistenziali che determinano il fine per cui vivere.