Non Mosè, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo.
PRIMA LETTURA: At 7,51-8,1a
Signore Gesù, accogli il mio spirito.
SALMO: (Sal 30)
Alle tue mani, Signore, affido il mio spirito.
Oppure:
Alleluia, alleluia, alleluia.
Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane».
Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!»
Gv 6,30-35
Oggi, nelle parole di Gesù possiamo constatare la contrapposizione e la complementarietà tra il Nuovo e il Vecchio Testamento: l’Antico è il simbolo del Nuovo e nel Nuovo le promesse fatte da Dio ai padri nell’Antico, arrivano alla sua pienezza. Così la manna che mangiarono gli israeliti nel deserto non era l’autentico pane del cielo, bensì il simbolo del vero pane che Dio, nostro Padre, ci ha dato nella persona di Gesù, che è stato inviato come Salvatore del mondo. Mosè sollecitò a Dio, in favore degli israeliti, un alimento materiale; Cristo, invece, dona sé stesso come alimento divino che concede la vita.
«Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi?» (Gv 6,30), esigono increduli e impertinenti i giudei. Gli è sembrato poco il segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci fatta da Gesù il giorno prima? Perché ieri volevano proclamare re Gesù e oggi non gli credono? Che incostante, è il cuore umano a volte! Dice San Bernardo di Chiaravalle: «Gli impuri si aggirano, perché naturalmente, vogliono dar soddisfazione all’appetito, e stupidamente disprezzano il modo di ottenere il fine». Così succedeva con i giudei: sommersi in una visione materialista, pretendevano che qualcuno li alimentasse e soluzionasse i loro problemi, però non volevano credere; questo era tutto quello che a loro interessava di Gesù. Non è questa la prospettiva di chi desidera una religione comoda, fatta su misura, senza impegno?
«Signore, dacci sempre questo pane» (Gv 6,34): che queste parole pronunciate dai giudei nel loro modo materialista di vedere la realtà, siano dette da me con la sincerità che mi può dare la fede; che siano la vera espressione del desiderio di alimentarmi con Cristo e di vivere unito a Lui per sempre.
Dio si rivela gradualmente: prima moltiplica i pani, poi invita a cercare il cibo che rimane per sempre e, infine, dichiara: “Io sono il pane della vita” (6,35). Questa solenne affermazione è come una porta che si apre e lascia intravedere qualcosa di quel mistero luminoso che Dio vuole svelare.
Il Vangelo ci prende per mano e ci fa entrare poco alla volta nella luce. Credere significa camminare. Ma non tutti sono disposti a farlo. La maggior parte dei battezzati si fermano sulla soglia, si accontentano delle briciole, non vogliono andare oltre.
Tanti di noi sono come questa folla anonima del Vangelo che, pur avendo assistito personalmente al miracolo dei pani, domanda a Gesù: “Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai?” (6,30). Invece di credere alla Parola, con umiltà e stupore, passano la vita a chiedere altri segni, altre conferme. Manca la rettitudine, cioè il desiderio di seguire la luce quando appare. È il peccato più grave! È stato detto giustamente che c’è abbastanza luce per chi vuole credere; e non sarà mai abbastanza per chi non vuole credere.
Se non vogliamo restare sulla soglia della fede, se desideriamo entrare e scoprire la bellezza allora dobbiamo accogliere la rivelazione eucaristica come il passe-partout, la chiave che ci introduce nella stanza del banchetto dove Dio ci attende per comunicarci la vita, quella vera.
È l’Eucaristia il sacramento della vita, come diceva Sant’Agostino: “Mangia la vita, bevi la vita e avrai la vita” (Discorsi, 131,1). Gesù è venuto per dare la vita, cioè per dare all’uomo la possibilità di vivere in pienezza ogni istante di questa fragile storia. senza cercare evasioni e senza inseguire illusioni. Tra il tempio della nostra fede e della nostra lode e il brusio e il rumore della piazza non ci sia uno schermo o una barriera invalicabili.