Io so chi tu sei: il santo di Dio!
PRIMA LETTURA: 1Cor 2,10b-16
L’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio; l’uomo mosso dallo Spirito, invece, giudica ogni cosa.
SALMO: (Sal 144)
Giusto è il Signore in tutte le sue vie.
Nella sinagoga c’era un uomo che era posseduto da un demonio impuro; cominciò a gridare forte: «Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!».
Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E il demonio lo gettò a terra in mezzo alla gente e uscì da lui, senza fargli alcun male.
Tutti furono presi da timore e si dicevano l’un l’altro: «Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?». E la sua fama si diffondeva in ogni luogo della regione circostante».
Lc 4,31-37.
Oggi, vediamo come l’insegnamento fu per Gesù la missione centrale della sua vita pubblica. La predica di Gesù però era molto differente a quella degli altri maestri e questo fece sì che la gente si sorprendesse e si ammirasse. Certamente, anche se il Signore non aveva studiato (cf. Gv 7,15), sorprendeva con il suo insegnamento, perché «parlava con autorità» (Lc 4,32). Il suo stile nel parlare aveva l’autorità di chi si sa il “Santo di Dio”.
A Nazaret i paesani di Gesù, conoscendo le sue origini e la sua famiglia, avevano accampato la pretesa di vedere prodigi come quelli fatti in altri villaggi. Dinanzi al suo diniego essi reagiscono opponendogli un deciso rifiuto.
In realtà la triste vicenda rivela che i Nazaretani non hanno riconosciuto il tempo in cui sono stati visitati da Dio e non l’hanno accolto. Non riconoscendo in Gesù Colui che porta il Vangelo che libera e consola, lo hanno scartato come si fa con una cosa inutile. L’autorità di Gesù gli deriva dalla promessa che Dio ha fatto al suo popolo mediante i profeti, ma essi sono i primi testimoni del fatto che la durezza del cuore porta a rifiutare il dono di Dio.
Precisamente, l’autorità della sua parola era quello che dava forza al suo linguaggio. Utilizzava immagini vive e concrete, senza sillogismi ne definizioni; parole e immagini che estraeva dalla natura stessa quando non dalla Sacra Scrittura. Non c’è dubbio che Gesù era un osservatore, uomo vicino alle situazioni umane: allo stesso tempo che lo vediamo insegnando, lo contempliamo anche vicino alle persone facendo del bene. Leggeva nel libro della vita di ogni giorno esperienze che dopo le erano utili per insegnare. Anche se questa materia era elementare e rudimentale, la parola del Signore era sempre profonda, turbante, radicalmente nuova, definitiva.
La cosa più grandiosa di Gesù Cristo nell’esprimersi era il concatenare l’autorità divina con la più incredibile semplicità umana. Autorità e semplicità erano possibili in Gesù grazie alla conoscenza che aveva del Padre e alla sua relazione di amorosa obbedienza con Lui (cf. Mt 11,25-27). È questo legame con il Padre ciò che spiega l’armonia unica tra la grandezza e l’umiltà. L’autorità della sua parola non era in consonanza con i criteri umani; non c’era concorrenza, né interesse personale o desiderio di emergere. Era un’autorità che si manifestava tanto nella sublimità della parola o dell’azione come nell’umiltà e semplicità. Non c’era nelle sue labbra né lode personale, ne arroganza, ne gridi. Mansuetudine, dolcezza, comprensione, pace, serenità, misericordia, verità, luce, giustizia… furono il profumo che circondava l’autorità dei suoi insegnamenti.
Cacciato dalla sinagoga di Nazaret, Gesù continua la sua missione a Cafarnao che diventerà la sua patria di elezione. Nella sinagoga di questa cittadina, situata sulle sponde del lago di Tiberiade, il Maestro riprende il suo insegnamento riscuotendo un certo successo dalla gente che lo accoglie con benevolenza perché la sua parola è riconosciuta autorevole.
Tuttavia, non ci è dato capire su quale base la gente riconosca autorità alla parola di Gesù. La domanda del lettore trova una prima risposta nella reazione di un uomo indemoniato che si trovava nella sinagoga. Come nella sinagoga di Nazaret, anche in quella di Cafarnao si eleva una voce contraria.
In entrambi i casi è rivendicata una conoscenza di Gesù, anche se da due punti di vista diversi e che tuttavia rivelano la sua autentica doppia natura, umana e divina. I Nazaretani attestano la completa appartenenza alla comunità degli uomini, salvo poi rinnegarlo, il demonio invece proclama il suo legame strettissimo con Dio, giungendo però alla stessa conclusione dei paesani di Gesù.
Anche noi possiamo essere cristiani che conoscono tutto di Gesù e recitano perfettamente gli articoli del Credo ma essere al contempo talmente schermati dalle nostre attese proiettate su Dio o intrappolati nel formalismo religioso senza sostanza, da non riconoscere la sua presenza e da opporre una resistenza o addirittura un rifiuto molto netto estromettendo Dio dalla nostra vita.
La promessa di Dio non è illusione e la sua parola non gonfia le nostre attese mondane come si fa con un palloncino fino a farlo scoppiare. Gesù mostra che la sua parola è veramente autorevole perché libera e restituisce la dignità, garantita da Dio ma messa in discussione dalle nostre scelte sbagliate ispirate dall’avidità e dalla cupidigia e non dalla carità.
Il male vorrebbe imporre la sua forza gridando, invece il bene stabilisce la sua autorità ordinando, ovvero mettendo ordine. La parola di Dio è veramente autorevole perché mette ordine nella relazione. Grazie ad essa impariamo ad impostare le relazioni non come una continua lotta per emergere ma come un dialogo nel quale ognuno si mette a servizio della libertà e della felicità dell’altro.