Fanciulla, io ti dico: Alzati!.

PRIMA LETTURA: Eb 12,1-4

Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti.

SALMO (SAL 21)

Ti loderanno, Signore, quelli che ti cercano.

“In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.”

Mc 5,21-43

Un solo vangelo ci permette  di  entrare  in  modo  assai  particolare in due momenti  di  intima  relazione  tra  il  Signore  Gesù  e  due persone – un uomo e una donna – che cercano conforto e sollievo nel loro dolore. Il Signore non si tira indietro,  ma  cammina – anzi corre – nella direzione stessa della nostra fragile speranza in cerca di ragioni sufficienti per non arrendersi dinanzi all’impoverimento della vita: la propria e quella delle persone che    ci sono care.  Una  donna  si  accosta  al  Signore  Gesù  scorgendo  in quest’uomo capace di compassione l’àncora necessaria per evitare la deriva dell’angoscia  di  non  poter  più  sperare  dopo  aver dato fondo a ogni speranza, «spendendo tutti i suoi  averi  senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando» (Mc 5,26). Mentre  questa  donna  è  sollevata,  ecco  che  un  uomo,  un padre, «un capo», riceve la notizia che per la sua «figlioletta» (5,23) non c’è più nulla da fare: «È morta» (5,35). La parola di Giairo, «sta morendo» (5,23), era stata interrotta dal tocco furtivo di una donna. L’estrema speranza di questo padre, che cerca in tutti i modi di non perdere la flebile fiducia che la vita sia ancora possibile, viene spenta con un colpo di vento deciso: «È morta». Davanti all’evidenza, il Signore Gesù oppone una reazione diversa, che lascia senza parole e persino un po’ contrariati: «Non temere, soltanto abbi fede!» (5,36).

Questa parola che il Signore rivolge in modo assai destabilizzante a quest’uomo, chiamato ormai a non disturbare più e ad assumere dignitosamente il suo lutto, è rivolta a ciascuno di noi. Quando sentiamo di perdere ciò che ci è caro, quando sentiamo strisciare l’ombra della morte che azzittisce in noi ogni possibile orizzonte, il Signore rinnova il suo invito: «Soltanto abbi fede!». Potremmo chiederci quest’oggi che cosa mai possa significare nella nostra vita concreta e quotidiana continuare «soltanto» ad avere fede. L’evidenza del fallimento, della perdita, della fine si impone alla nostra vita e chiede solo di essere accolta. Eppure, c’è qualcosa oltre l’evidenza. Ce lo ricorda la prima lettura: «Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12,1-2). Alla luce di questo versetto potremmo interpretare la parola che il Signore Gesù rivolge a Giairo in questi termini: «Soltanto, continua a guardare verso di me».

È ciò che si fa in un momento di emergenza quando la vita sembra stia andandosene, si chiede con forza: «Guardami». Il Signore ci chiede di fissare lo sguardo su di lui per affrontare la vita e persino la morte in una relazione profonda e in una comunione amorosa che vince ogni fallimento, ogni disfatta… persino la morte. Questo perché l’amore è così capace di immaginazione da andare oltre ogni evidenza che rischia di spegnere il lucignolo della speranza.

Dal Signore Gesù possiamo imparare a essere intimi senza cedere all’intimismo, a essere audaci senza mai essere ingenui. Ancora   e sempre dalle parole e dai gesti di Cristo Signore dobbiamo imparare a essere decisi nel nostro cammino, ma mai frettolosi e, meno ancora, distratti.

Signore Gesù, trascinaci dietro a te, corriamo! Maestro delle nostre vie, non lasciare mai che la nostra corsa nella vita diventi distratta  e mai sia cieca e sorda a tutto ciò che avviene sulla strada dei nostri passi. Ognuno possa trovarci compagni di sofferenza, di speranza, di desiderio e di decisione, per una vita che sia sempre più vita oltre ogni evidenza di morte e di disperazione.