Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare.
PRIMA LETTURA: Sap 2,23-3,9
Agli occhi degli stolti parve che morissero, ma essi sono nella pace.
SALMO (Sal 33)
Benedirò il Signore in ogni tempo.
“ In quel
tempo, Gesù disse:
«Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando
rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto:
“Prepara da mangiare, strìngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò
mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso
quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite:
“Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».”
Lc 17,7-10
È innato nell’essere umano attendersi una ricompensa ed una gratificazione dopo aver adempiuto ad un proprio dovere. Tutto il lavorio dell’uomo è orientato infatti al conseguimento di un giusto salario e ad una adeguata ricompensa. Non è così nei confronti del Signore: da Lui, fonte di ogni bene, Signore dell’universo, nulla possiamo pretendere, anche se tutto speriamo da Lui. Il rapporto infatti che instauriamo con Dio non è confrontabile con quello che viviamo nei confronti del nostro prossimo.
“Essere servi del Signore, significa regnare”, garantirsi cioè l’accesso al regno di Dio e godere della sua ineffabile presenza santificante già in questo mondo.
Non può essere quindi oggetto di un baratto e ancor meno una pretesa. Ridurremmo il buon Dio ad un semplice buon padrone se lo pensassimo come un datore di lavoro con tutti quei vincoli e obblighi reciproci che li regolano. È per questo che il Signore oggi ci dice che:
“Quando avrete fatto tutto quello che vi stato ordinato, dite “siamo servi inutili”.
Non è l’esortazione ad un semplice gesto di umiltà, ma il riconoscimento del primato di Dio nell’amore e la consapevolezza che non saremo mai in grado di offrirgli un servizio adeguato alla sua divina maestà.
Senza la sua grazia nessuna azione umana, per quanto giusta, potrebbe meritare un premio eterno, la cui essenza è lo stesso amore di Dio, di cui saremo riempiti per l’eternità.
Tuttavia in altre parti del Vangelo lo stesso Signore non manca di esortarci al bene anche in vista del premio finale. Ai suoi apostoli egli dice:
“In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele”.
Ci parla ripetutamente del premio riservato a coloro che gli rimangano fedeli, ma tutto questo ci conferma che solo dalla bontà divina sgorga l’incommensurabile premio.
Lo stesso San Paolo, prossimo ormai a concludere la sua buona battaglia, afferma:
“Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione”.