Ragazzo, dico a te, alzati!
Bisogna che il vescovo sia irreprensibile; allo stesso modo i diaconi conservino il mistero della fede in una coscienza pura.
SALMO: (Sal 100)
Camminerò con cuore innocente.
Oppure:
Dona al tuo servo, Signore, integrità di cuore.
Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei.
Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, alzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre.
Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante».
Lc 7,11-17
Oggi, due comitive si trovano. Una comitiva che accompagna la morte e l’altra che accompagna la vita. Una povera vedova, seguita dalla famiglia e dagli amici, portava suo figlio al cimitero e all’improvviso, vede la folla che andava con Gesù. Le due comitive si incrociano e si fermano, e Gesù dice alla madre che andava a seppellire suo figlio: «Non piangere!» (Lc 7,13). Tutti rimangono a guardare Gesù, che non resta indifferente al dolore e alla sofferenza di quella povera madre, ma, al contrario, sente compassione e ridà la vita a suo figlio. È che trovare Gesù è trovare la vita, poiché Gesù disse di sé stesso: «Io sono la risurrezione e la vita» (Gv 11,25). San Braulio di Zaragoza scrive: «La speranza della risurrezione deve confortarci, perché ritorneremo a vedere nel cielo quelli che abbiamo perso qui».
La scena descritta dall’evangelista Luca non è un semplice dato di cronaca ma è una parola di consolazione per quei cristiani che sperimentano il dramma di dover lasciare la propria città per emigrare. Il corteo funebre evoca il mesto cammino degli Israeliti che abbandonarono la propria terra per andare in esilio. I profeti piangono su Gerusalemme, la città santa, che, spogliata dei suoi abitanti, è come una sposa rimasta vedova e senza figli. Vedova perché sembra abbandonata da Dio e senza figli che le sono stati strappati via.
Gesù non è indifferente davanti a questa situazione; egli prova una grande compassione per la donna, simbolo della Chiesa, che la sofferenza del lutto ha invecchiato. A tutti coloro che, scoraggiati e demotivati, non sanno fare altro che piangere e lamentarsi continuando a compiere gesti rituali monotoni come le nenie funebri, Gesù dice: non piangere!
Bisogna fermarsi come fanno i portatori e permettere a Gesù di rivolgere la sua parola a quelli che sembrano ormai morti alla comunità, i lontani ai quali pensiamo che non valga la pena far ascoltare la sua parola.
“Ragazzo, io dico a te: alzati!”. Dovremmo recuperare la fiducia nella bontà ed efficacia della parola di Dio tale che possa toccare il cuore dei ragazzi che sono interpellati in prima persona.
Con la lettura del brano del Vangelo che ci parla della risurrezione del giovane di Nain, si potrebbe rimarcare la divinità di Gesù e insistere nella stessa, dicendo che soltanto Dio può ritornare un giovane alla vita; ma oggi preferirei porre in rilievo la sua umanità, per non vedere Gesù come un essere distante, come un personaggio molto diverso da noi, o come qualcuno così importante da non suscitare la fiducia che può ispirarci un buon amico.
I cristiani dobbiamo sapere imitare Gesù. Dobbiamo chiedere a Dio la grazia di essere Cristo per gli altri. ¡Magari se ognuno che ci veda, potesse contemplare un’immagine di Gesù nella terra! Quelli che vedevano San Francesco di Assisi, per esempio, vedevano l’immagine viva di Gesù. Santi sono quelli che portano Gesù nelle proprie parole e opere e imitano il suo modo di attuare e la sua bontà. La nostra società ha bisogno di santi e tu puoi essere uno di loro nel tuo ambiente.