Ragazzo, dico a te, àlzati!
PRIMA LETTURA: 1Tm 3,1-13
Bisogna che il vescovo sia irreprensibile; allo stesso modo i diaconi conservino il mistero della fede in una coscienza pura.
SALMO (Sal 100)
Camminerò con cuore innocente.
“In quel tempo,
Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli
e una grande folla.
Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un
morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era
con lei.
Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non
piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi
disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a
parlare. Ed egli lo restituì a sua madre.
Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è
sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si
diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.”
Lc 7,11-17
“Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla” (7,11).
Il Vangelo parla di due cortei: il primo è guidato da Gesù e si dirige verso il villaggio di Nain.
L’evangelista annota che assieme ai discepoli c’è una grande folla, una fiumana di gente che accorre sempre più numerosa vedendo i segni compiuti dal Nazareno. La guarigione del servo del centurione è solo l’ultimo della lista. Lungo la strada questo gruppo di gente festante s’incontra con un altro corteo che esce dalla città: si tratta di una piccola comunità che accompagna una giovane donna che porta al sepolcro il suo unico figlio (7,12).
È una donna che ha già sofferto molto a causa della morte del marito ed ora sperimenta una desolazione ancora più grande, una donna privata degli affetti più significativi. La sua afflizione è temperata dalla presenza di tanti amici e parenti: “Molta gente della città era con lei” (12,7). Un’immagine che non ci sorprende, impossibile non condividere un dolore come questo che incide nel profondo dell’anima.
Il racconto evangelico presenta dunque due cortei: da una parte una comunità che annuncia la vita e dall’altra un gruppo che vive la dolorosa esperienza della morte.
In apparenza la morte è destinata a vincere perché, quando arriva, siede sul trono come una regina incontrastata, niente e nessuno può impedirle di dettare legge. Questa è la cronaca, il pane quotidiano di una storia dove la sofferenza trova sempre posto. In questa scena dolorosa e rassegnata Gesù entra come un cavaliere vittorioso capace di sconfiggere la morte. Sembra una bella favola da raccontare ai bambini per esorcizzare le loro paure.
E invece è il cuore di quell’annuncio che da duemila anni risuona nella storia. “Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?” (1Cor 15,55).
È questo il canto della fede che ci permette di affrontare la morte con la certezza che l’ultima parola non è il silenzio ma l’amore che dona una vita nuova.
È questa la fede che oggi vogliamo rinnovare ai piedi del Tabernacolo.