Lo condanneranno a morte.
PRIMA LETTURA: Ger 18,18-20
Venite, e colpiamo il giusto.
SALMO: (Sal 30)
Salvami, Signore, per la tua misericordia.
Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno».
Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dòminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Mt 20,17-28
Oggi la Chiesa —Ispirata dallo Spirito Santo— ci propone in questo tempo di Quaresima un testo in cui Gesù imposta ai suoi discepoli —e per tanto anche a noi— un cambio di mentalità. Gesù oggi capovolge le visioni umane e terrestri dei suoi discepoli e gli apre un nuovo orizzonte di comprensione su quale dovrà essere lo stile di vita dei suoi proseliti.
Le nostre tendenze naturali ci suscitano il desiderio di dominare le cose e le persone, dirigere e dare ordini, che si faccia ciò che a noi piace, che la gente possa riconoscere in noi uno status, una posizione. Invece il cammino che Gesù ci propone è l’opposto: «Tra voi non sarà così, ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo» (Mt 20,26-27). “Servitore”, “schiavo”: non possiamo rimanere nell’enunciato delle parole! Le abbiamo sentite centinaia di volte dobbiamo, essere capaci di entrare in contatto con la realtà che significano, e confrontare questa realtà con le nostre attitudini e comportamenti.
Il Concilio Vaticano II ha affermato che «L’uomo acquisisce la sua pienezza attraverso il servizio di donarsi agli altri». In questo caso, ci sembra che diamo la vita, quando in realtà la stiamo incontrando. L’uomo che non vive per servire non serve per vivere. E con questa attitudine il nostro modello è lo stesso Cristo, -l’uomo pienamente uomo- giacché «il Figlio dell’uomo, non è venuto per farsi servire ma a servire e a dare la sua vita come riscatto per molti».
Essere servo, essere schiavo così come ce lo chiede Gesù, è impossibile per noi. Rimane fuori dalla capacità della nostra povera volontà: dobbiamo implorare, attendere e desiderare intensamente che ci siano concessi questi doni. La Quaresima e le sue pratiche quaresimali – digiuno, elemosina e preghiera– ci ricordano che per ricevere questi doni dobbiamo prepararci adeguatamente.
Oggi leggiamo di Gesù che con i suoi discepoli si avvicina a Gerusalemme, dove devono compiersi i fatti che porteranno alla sua condanna a morte e successiva resurrezione. Fatti che oggi noi, a posteriori, conosciamo; ma che, comprensibilmente, turbano non poco gli amici del Signore nel momento in cui questi confida ciò che sta per succedere. Nessuno di noi rimarrebbe indifferente ad un amico che annuncia che sta per essere condannato a morte. E persino la nota finale sulla resurrezione dopo tre giorni, invece di portare speranza, sembra confondere ancora di più i discepoli.
Giacomo e Giovanni, per bocca della loro madre, non trovano di meglio che chiedere un titolo onorifico speciale per loro, forse con l’idea di vantarlo successivamente se questo Dio sbadato dovesse dimenticarsi delle promesse fatte. Gli altri “si sdegnarono”, dimostrando più invidia per non aver pensato a chiedere lo stesso per sé stessi prima dei due figli di Zebedeo che reale fiducia nelle parole del Maestro.
Gesù, come al solito, cerca di riportare ordine. Sa che per i discepoli è difficile capirlo, ma non importa: dolcemente, pazientemente, ricorda che la strada che lui percorre non è quella di evitare il male, ma quella della fiducia in un Dio fedele che non si scorda delle sue creature e che è in grado di accogliere e distruggere il male dall’interno, e di dare agli uomini il potere di fare altrettanto.