È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato.

PRIMA LETTURA: 1Cor 3,1-9

Noi siamo collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio.

SALMO: (Sal 32)

Beato il popolo scelto dal Signore.

«In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva.

Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo.

Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato».

E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea».

Lc 4,38-44.

Quando parliamo di evangelizzazione dovremmo sempre tornare a meditare pagine come queste nelle quali è tracciato il profilo del messaggero che reca la buona notizia del Regno di Dio. La predicazione di Gesù non prescinde dall’incontro con gli uomini feriti dal peccato, incattiviti dalla rabbia, indeboliti dalle delusioni.

Ad essi Gesù è inviato dal Padre per far risuonare la parola del Vangelo e far risplendere la potenza dello Spirito che libera, sana, consola e salva. Per incontrare l’uomo bisogna innanzitutto ascoltare e lasciarsi condurre dalla voce del povero, anteponendo ai propri progetti il bisogno dell’altro. Mettersi a servizio non significa offrire una proposta di prestazione, ma chinarsi sulla realtà assumendo lo sguardo e i sentimenti di Dio che, come fa un padre con il suo bambino, si china verso i più piccoli per dar loro da mangiare (cf. Os 11).

Non di meno, oltre l’ascolto e l’andare verso l’altro, è necessario aprirsi agli altri e accoglierli con cordialità e semplicità. Tante volte, presi dall’ansia della prestazione, perdiamo di vista lo stile con il quale relazionarci.

La tenerezza con la quale Gesù si china sull’anziana suocera di Simone e la delicatezza del tocco della mano con cui entra in contatto con gli intoccabili, suggeriscono il fatto che l’annuncio del Vangelo non può prescindere da uno stile di prossimità caratterizzato dalla compassione.

Essa non è in alcun modo sinonimo di debolezza caratteriale e lo dimostra il fatto che Gesù coniuga tenerezza e determinazione sia nel fronteggiare il nemico che si nasconde dietro le mentite spoglie di un pio discepolo, sia anche nel respingere le avances di coloro che vorrebbero trattenerlo per godere del suo potere taumaturgico.

Gesù si sottrae alle lusinghe e alle richieste dalla gente non perché rinnega la propria responsabilità ma perché vuole responsabilizzarla e renderla protagonista del proprio riscatto. Dove giunge il Vangelo la vita rinasce ma questo dono va coltivato perché impariamo da Gesù come vivere in questo mondo e renderlo con la carità migliore di come lo abbiamo trovato.

Lasciata la sinagoga, luogo dove le letture dei giorni scorsi riportavano Gesù che aveva parlato e compiuto segni, il Nazareno, rimanendo in Galilea, fa visita alla suocera di Simone. È una donna malata come altri infermi portati al Signore che egli sanerà.

Il Maestro scaccerà ancor demòni, suoi avversari, consapevoli nel riconoscere la natura divina di quel Galileo. Luca, tuttavia, ci invita oggi ad una meditazione più attenta perché il testo ha un valore del tutto particolare. E per molte ragioni.

L’evangelista precisa che Gesù entra nella casa di Simone. Non è ancora Pietro, cioè il designato a guidare la prima comunità che si riconoscerà nella fede del Risorto. Ciò che compirà non è legato al rapporto di amicizia con il discepolo. È il “fatto” in sé che invita alla meditazione e, non a caso, viene riportato anche da Marco e Matteo.

Luca è un medico ed in più occasioni nel suo Vangelo dimostra di possedere conoscenze che altri non hanno. Quando precisa che ha una grande febbre, vuole condurre il lettore ad una guarigione fisica importante (pensiamo che il testo di Marco usa termini che rimandano alla morte stessa della suocera) e al tempo stesso, con il suo stile, la vicinanza e la delicatezza che pone nel suo agire.

Non solo. Luca esalta il ruolo della preghiera: è un farmaco prezioso che permette di affidarci al Signore in questi frangenti della vita. E la donna, liberata dalla malattia, compie due azioni introdotte dalla parola sùbito. Lei ha capito fino in fondo cosa è veramente successo. Come i discepoli seguirono senza indugio la chiamata del Maestro, così lei si alza e lo serve.

“Alzarsi” nei vangeli è di coloro che abbandonano lo stato precedente per porsi alla sequela del Risorto. Ha perso la vita la donna di prima: le è stata donata una nuova vita ed un nuovo cammino nel quale la donna non si sottrae e risponde alla chiamata di Gesù servendolo. Una meditazione che non può trascurare ancora un passaggio: nei vangeli sinottici, quindi escludendo Giovanni, la suocera di Simone è la prima donna che Gesù incontra. Lo ama e lo serve.