Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto.

PRIMA LETTURA: 1Tm 3,14-16

Grande è il mistero della vera religiosità.

SALMO: (Sal 110)

Grandi sono le opere del Signore.

«In quel tempo, il Signore disse:

«A chi posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è simile? È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così:

“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,

abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!”.

È venuto infatti Giovanni il Battista, che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e voi dite: “Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!”.

Ma la Sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli».  

Lc 7,31-35

Ci sono alcuni che credono di possedere la conoscenza e disprezzano gli altri o fanno in modo di umiliarli. Questa è la sorte toccata a Giovanni Battista e a Gesù, veri figli di Dio, discepoli della Sapienza. Ciascuno a suo modo ha evangelizzato anche se entrambi hanno incontrato molte resistenze soprattutto da coloro che avrebbero dovuto ascoltarli e comprenderli. Giovanni Battista con la sua estrema sobrietà e Gesù con la sua amorevole prossimità, hanno testimoniato la giustizia di Dio.

Oggi, Gesù constata la durezza di cuore della gente del Suo tempo, almeno dei farisei che si sentivano così sicuri di sé stessi che non c’era chi potesse convertirli. Non si immutano né davanti a Giovanni Battista, «Non mangiava pane né beveva vino» (Lc 7,33), e lo accusavano di essere posseduto da un demonio; né si immutano davanti al Figlio dell’uomo che «mangia e beve», e lo accusano di “mangione” e “ubriacone” e di essere, inoltre, amico di «pubblicani e di peccatori» (Lc 7,34). Dietro queste accuse occultano il loro orgoglio e la loro superbia: nessuno deve pretendere di voler dar loro lezioni; non accettano Dio ma si attribuiscono arbitrariamente il posto di Dio, ma di un Dio che non li smuova dalle loro comodità, privilegi e interessi.

Il Signore si fa prossimo e ci parla in tanti modi e in tutte le situazioni, sia piacevoli che spiacevoli. Il linguaggio, anche se assume il tono grave del lamento o quello dolce dell’esortazione e della promessa, comunica sempre il suo amore fedele ed inesauribile.

Non basta conoscere Dio ma è necessario saperlo riconoscere. La diffidenza ci ruba la gioia dello stupore e ci blocca negli slanci di generosità che invece genera la fiducia. Chi non spera nulla che vada al di là di ciò che attende non riesce ad entrare in empatia con il mondo che lo circonda che invece gli apparirà sempre ostile.

Riconoscere Dio presente nella vita significa amarlo e cercarlo nei volti e nelle storie delle persone che incrociamo, come l’amata che, desiderando il suo sposo, non lo attende passivamente se tarda ma si mette in cammino spinta dal bisogno d’incontrarlo.

La conoscenza gonfia di orgoglio mentre la carità edifica, ricorda san Paolo nella Prima lettera ai Corinti cap. 8. L’amore ci spinge a conoscere sempre meglio l’amato e chi cerca Dio, trova finalmente sé stesso.

Dobbiamo permettere che la Parola di Dio arrivi al nostro cuore e ci converta: dobbiamo permettere che ci cambi, che ci trasformi con il Suo potere. Per questo, però, dobbiamo chiedere il dono dell’umiltà. Solo l’umile può accettare Dio, per cui, dobbiamo lasciare che si avvicini a noi, che, come “pubblicani” e “peccatori”, abbiamo bisogno che ci guarisca. Guai a chi crede di non aver bisogno del medico! La cosa peggiore per un ammalato è credere di star bene, perché allora il male si aggraverà e non vi porrà mai rimedio. Tutti siamo ammalati di morte, e solo Cristo può salvarci, ne siamo consapevoli o no. Ringraziamo il Signore, accogliendolo, com’è, quale nostro Salvatore!