La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
PRIMA LETTURA: Dt 8,2-3.14b-16a
Ti ha nutrito di un cibo, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto.
SALMO: (Sal 147)
Loda il Signore, Gerusalemme.
SECONDA LETTURA: 1Cor 10,16-17
Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo.
SEQUENZA
Ecco il pane degli angeli,
pane dei pellegrini,
vero pane dei figli:
non dev’essere gettato.
Con i simboli è annunziato,
in Isacco dato a morte,
nell’agnello della Pasqua,
nella manna data ai padri.
Buon pastore, vero pane,
o Gesù, pietà di noi:
nutrici e difendici,
portaci ai beni eterni
nella terra dei viventi.
Tu che tutto sai e puoi,
che ci nutri sulla terra,
conduci i tuoi fratelli
alla tavola del cielo
nella gioia dei tuoi santi.
Gv 6,51-58
“Il Signore ha nutrito il suo popolo con fior di frumento, lo ha saziato di miele della roccia”.
Apre con un versetto del salmo 80 la liturgia di questo giorno in cui facciamo festa per il Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, nell’annuale ricorrenza del Corpus Domini che, quest’anno, assume un significato del tutto particolare.
Proibite, per la pandemia da coronavirus, processioni e manifestazioni collaterali esterne al luogo di culto, come quella dell’infiorata, la solennità si concentra essenzialmente sulla celebrazione della santa messa e sui momenti di preghiera, quali l’adorazione e benedizione eucaristica che accompagnerà questo giorno il cammino spirituale delle comunità cristiane, parrocchiali, monastiche e religiose in generale. Il contenuto teologico e liturgico di questa festa è espresso nella colletta, preghiera di apertura della solennità odierna:
“Signore Gesù Cristo, che nel mirabile sacramento dell’Eucaristia ci hai lasciato il memoriale della tua Pasqua, fa’ che adoriamo con viva fede il santo mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue, per sentire sempre in noi i benefici della redenzione”.
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L’eucaristia è prima di tutto memoriale della Pasqua del Signore. Ce lo ricordano i testi della liturgia della parola che accompagnano la nostra riflessione e meditazione in questo giorno speciale.
Nella prima lettura, tratta dal Libro del Deuteronomio, ci viene ricordato quanto il Signore ha fatto per il popolo eletto, liberandolo dalla schiavitù dell’Egitto e accompagnandolo nel corso del lungo trasferimento, durato 40 anni, nel deserto, dando ad esso continuamente gli aiuti materiali necessari per affrontare il cammino esodale verso la Terra promessa, la Palestina:
“Il Signore ti ha nutrito di un cibo, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto”.
Il riferimento alla mamma, prefigurazione dell’eucaristia, ci aiuta a capire a che serve, spiritualmente, il pane che Gesù ha assicurato a noi, nell’ultima cena, quando rivolto agli apostoli, ha detto
“fate questo in memoria di me”.
San Paolo, rapportandosi temporalmente, proprio a quel momento istitutivo dell’eucaristia e del sacerdozio cattolico, ricorda nella sua prima lettera ai Corinzi i contenuti dottrinali del mistero eucaristico:
“Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?”.
Questioni teologiche che l’apostolo pone ai cristiani di Corinto, non sempre convinti dello stretto rapporto tra eucaristia, vita personale e vita della Chiesa.
Ecco perché fa scaturire dal pane eucaristico quella totale comunione che ci lega a Cristo e tra noi, in un vincolo indissolubile di amore e oblazione. Scrive infatti:
“Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane”. L’eucaristia fa da fondamento all’unità di tutti i membri della Chiesa.
In questi mesi di pandemia, durante i quali i fedeli non hanno potuto partecipare alla santa messa, molti hanno avvertito la mancanza proprio del cibo eucaristico. Ora che si è ritornati alla quasi normalità, dopo questo duro periodo di proibizioni, vissuto nei tempi più significativi dell’anno liturgico, quello quaresimale e pasquale, quanti cristiani sono ritornati in chiesa, con tutte le precauzioni del caso, per ricevere degnamente e santamente l’eucaristia?
Mi sovviene in questo momento quello che insieme diremo durante la messa di oggi, solennità del Corpus Domini, con la bellissima e ricca sequenza che precede la proclamazione del vangelo, riferita al sacramento dell’eucaristia: “Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli: non dev’essere gettato”.
L’eucaristia è il pane del cielo, in quanto è il sacramento in cui Gesù è presente realmente e sostanzialmente, in corpo, sangue, anima e divinità, come Egli stesso ci ricorda nel brano del Vangelo di oggi:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Questo pane non è comparso magicamente nella storia dell’umanità, ma è stato preparato nel corso dei secoli, mediante il progetto di salvezza che Dio ha posto in essere, dopo il peccato originale, di Adamo ed Eva, nel paradiso terrestre, e pensando già allora al cenacolo e al calvario.
Ecco perché nella sequenza diciamo:
“Con i simboli è annunziato, in Isacco dato a morte, nell’agnello della Pasqua, nella manna data ai padri”.
La storia della salvezza è sintetizzata in queste poche espressioni bibliche e teologiche di facile comprensione, lettura ed esegesi.
Ma che cosa è l’eucaristia e chi ci dona quel pane consacrato, cambiato di sostanza, ma rimasto nelle stesse specie a livello esterno?
E’ Gesù stesso è il Buon pastore, il vero pane, al quale ci rivolgiamo per chiedere perdono e del quale ci nutriamo di difenderci dalle insidie del male, nella speranza di condurci alla patria beata dell’eternità.
Ecco perché il pieno abbandono in Lui ci fanno dire parole di speranza e di fiducia totale in Lui:
“Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra, conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo nella gioia dei tuoi santi”.
L’eucaristia è tutto questo, anzi molto di più, se vissuta e sentita come presenza di Dio in noi, facendo proprie le stesse parole di Gesù, nel suo celebre discorso sul pane della vita, riferito a sé stesso:
«In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Mangiare di questo pane è vivere in eterno, cioè è camminare con il passo lesto o stanco del pellegrino in questa valle di lacrime, ma avendo Dio vicino, anzi dentro di noi, perché Egli, nell’eucaristia, si è fatto compagno di viaggio non solo nei momenti lieti della vita, ma soprattutto in quelli momenti più tristi e difficili della nostra esistenza, come quelli che siamo vivendo. Ma Lui, il Signore, spesso ci ha ribadito: Non abbiate paura, non vi lascio soli, non vi abbandono, perché sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. E questo essere con noi di Gesù ha un solo nome: EUCARISTIA, il sacramento della presenza reale di Gesù Cristo, in corpo sangue anima e divinità. Una presenza reale e non virtuale.
Una presenza che deve essere vissuta in presenza e non a distanza, pur nell’apprezzamento di quella comunione spirituale che abbiamo fatto in questi mesi, impossibilitati come siamo stati ad accostarci alla santa comunione in modo diretto e sacramentale.
Ora è tempo di ricominciare. È tempo di vivere da anime eucaristiche non solo con la partecipazione alla santa messa ed accostandoci all’eucaristia, ma poi trasferendo nella vita di tutti i giorni e in tutte le nostre attività il dono ricevuto di Gesù sacramentato, che ci spinge ad essere anche noi pane spezzato e sangue versato per i fratelli e le sorelle che più hanno necessità di essere aiutate e sostenute, oggi e in futuro.