Non sarà lasciata pietra su pietra.
PRIMA LETTURA: Is 56,1.6-7
La mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli
SALMO: (Sal 83)
Quanto sono amabili le tue dimore, Signore.
Oppure
Ecco la tenda di Dio con gli uomini
SECONDA LETTURA: Eb 12,18-19.22-24
Vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente.
«In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.».
Lc 21,5-11
Gesù, come già aveva profetizzato il profeta Geremia, annuncia la distruzione del tempio. Questa previsione suscita la curiosità dei discepoli circa la fine come se fosse uno spettacolo a cui assistere. La meraviglia con la quale decantano la bellezza dell’edificio rivela la visione della storia, come se fosse un dramma a cui assistere. A volte può capitare di essere rassegnati per cui la vita la vediamo passare davanti come le scene di un film. Siamo spettatori più che protagonisti.
Gesù in realtà, da vero profeta, rivela che nel dramma dell’uomo si consuma anche quello di Dio. Infatti, il Signore non è un avventore distante rispetto alle vicende dell’uomo, ma ne è pienamente partecipe perché lo ama di un amore fedele ed eterno e, in quanto tale, si unisce a lui per sempre.
La distruzione del tempio è profezia della morte di Gesù culmine dell’amore di Dio che non ha risparmiato suo Figlio, ma lo ha dato per tutti noi.
Quando crollano le nostre certezze, vengono meno i nostri progetti, non dobbiamo cedere alla rassegnazione e lasciarci cadere le braccia. La paura non deve farci seguire coloro che si presentano come depositari di segreti e rivelatori del futuro. Nella prova la nostra unica certezza è la parola di Gesù, egli ha sconfitto la morte e con essa ha tolto di mano l’arma più velenosa dalla mano del nemico, il diavolo. Morendo ci ha liberato dalla morte e dal peccato e risorgendo ci ha spalancato le porte della vita eterna verso cui si dirigono i nostri passi.
Chi vive il suo presente, anche se difficile e doloroso, confortato, corroborato e sostenuto dalla speranza, genera il suo futuro rimanendo fedele a Dio e perseverando nella carità fraterna. Così facendo vive nell’oggi la primizia della beatitudine del domani.
il 24 novembre celebriamo la ridedicazione della nostra chiesa. Non conosciamo infatti la data della prima dedicazione avvenuta tra il 1619-1624 quando fu costruita su progetto di Giovan Giacomo Conforto.
Della seconda, invece, ci informa la lapide posta sul tamburo della chiesa; le parole scolpite nel marmo ci ricordano che questa chiesa dedicata a santa Maria in Gerusalemme, con il permesso del vescovo di Napoli Antonino Sersale, fu consacrata con rito solenne dal vescovo di Ischia Onofrio Rossi il 14 ottobre 1764 con l’avvertenza che da quel momento l’anniversario sarebbe stato celebrato il 24 novembre.
La chiesa ebbe un importante restauro proprio in quell’anno a causa del dissestamento delle volte che come dicono le cronache del monastero “minacciavano ruina”. P. Massimiliano cappuccino e l’abbadessa Maria Maddalena Pedrazza, nonostante l’anno di grande carestia per tutta la città di Napoli, riuscirono a trovare i “fondi” per impedire che la chiesetta monastica potesse cedere da un momento all’altro.
Siamo certe che in questa nostra chiesa, luogo di pace e di preghiera, uomini e donne di ogni tempo hanno potuto fare, fanno e ci auguriamo faranno, esperienza della misericordia di Dio e della riconciliazione con i fratelli e le sorelle.