Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

PRIMA LETTURA: At 15,22-31

È parso bene, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie.

SALMO: (Sal 56)

Ti loderò fra i popoli, Signore.

Oppure:

Alleluia, alleluia, alleluia.

«In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:

«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.

Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.

Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Gv 15,12-17

Oggi, il Signore c’invita all’amore fraterno: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Gv 15,12), vuol dire, come avete visto fare a me e come ancora mi vedrete fare. Gesù ti parla come ad un amico, perché ti ha detto che il Padre ti chiama, che vuole che tu sia apostolo e che ti destina a produrre frutto, un frutto che si manifesta nell’amore. San Giovanni Crisostomo afferma: «Se l’amore si trovasse sparso dappertutto, nascerebbero da esso un’infinità di beni».

Nel comandamento di Gesù più che un ordine da eseguire o una regola morale da mettere in pratica c’è un profondo desiderio da realizzare. La parola di Dio rivela il suo sogno: l’amore, che unisce in una sorta di danza gioiosa il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, possa essere vissuta nella comunione fraterna.

Da qui l’esortazione rivolta a noi, suoi discepoli di amarci gli uni gli altri come egli ci ama. Gesù ci ha amato fino alla fine, ovvero fino nel fondo della nostra miseria perché noi potessimo toccare con Lui la cima della misericordia di Dio. Con il suo sacrificio sulla croce ci ha donato la sua vita e ci ha resi amici. L’amicizia non nasce per caso e non si mantiene solo se ci sono interessi comuni. Essa ha la sua origine nella scelta di uscire dalla propria autosufficienza e cercare un aiuto adatto per curare il male della solitudine.

L’amico è un dono di Dio che ci emancipa dalla servitù della dipendenza dalle cose per farci scoprire che il senso della vita risiede nella relazione con l’altro attraverso la quale amarsi reciprocamente. Gesù ci rivela il senso autentico dell’amicizia e con essa l’unica ragione plausibile per vivere. L’amico è il confidente con il quale aprire il proprio cuore, mostrarsi a lui per quello che si è, anche nelle proprie nudità, ossia nelle fragilità, debolezze, mancanze.

Tutto questo perché la fiducia vince la paura di essere giudicati o di perdere l’amico e ripiombare nella solitudine. L’amore reciproco diventa responsabile perché ognuno si assume la responsabilità di curare l’amicizia. Dio per mantenere sempre viva l’amicizia con noi ci perdona per primo, infatti, più che il nostro peccato Lui vede la nostra fede, più che puntigliosamente girare il coltello nella ferita degli errori pazientemente la cuce, invece di puntare il dito stende la sua mano per aiutarci e ci incoraggia a fare sempre il bene.

Gesù ti ha detto poc’anzi qual è la condizione dell’amore, di dare frutto: «se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Gesù ti invita a perdere la tua vita, a consegnarla a Lui senza paura, a morire a te stesso per poter amare tuo fratello con l’amore di Cristo, con amore soprannaturale. Gesù t’invita ad arrivare ad un amore operante, benefattore e concreto; così l’ha capito l’apostolo Giacomo quando disse: «Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in sé stessa» (Gc 2,15-17).