Il Figlio dell’uomo viene consegnato… Se uno vuole essere il primo, sia il servitore di tutti.

PRIMA LETTURA: Sap 2,12.17-20

Condanniamo il giusto a una morte infamante.

SALMO: (Sal 53)

Il Signore sostiene la mia vita.

SECONDA LETTURA: Gc 3,16-4,3

Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia.

«In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.

Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».

E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Mc 9,30-37

Il vangelo di questa domenica ci mette di fronte al secondo annuncio della passione che Marco fa nel suo vangelo. Il primo lo abbiamo ascoltato la domenica scorsa, in seguito alla cosiddetta professione di fede di Pietro nei pressi di Cesarea di Filippo. Ci ricorderemo sicuramente anche del duro rimprovero che Gesù fa a Pietro quando questi vorrebbe scartare la croce con tutto ciò che questa doveva comportare. Si capisce, però, che Pietro non poteva conciliare quel “tu sei il Cristo” con l’infamia della croce: “stoltezza per i greci, scandalo per gli ebrei”. Gesù stesso aveva sintetizzato, nel rimproverare Pietro, che quella strada non era semplice da accettare da parte del pensiero strettamente umano. Ed è per questo che dice a Pietro: “non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”.

Ora, questa logica la ritroviamo anche nel vangelo di questa 25° domenica. Gesù annuncia per la seconda volta la sua passione: non era passato neanche tanto tempo… forse solo una settimana, stando alle indicazioni temporali di Marco 9,2.30. I discepoli si erano completamente dimenticati di ciò che Gesù aveva detto loro riguardo al suo destino in Gerusalemme. Persino i tre della trasfigurazione, ai quali aveva accennato della risurrezione, si sono resi smemorati. Dunque, Gesù continua a curarsi dei suoi discepoli e cerca di prepararli ad entrare nella sua logica, una logica di donazione e di servizio. Ma loro, ancora condizionati dalla logica umana, quella della dominazione, del primo posto, non riescono nemmeno ad ascoltare ciò che Gesù stava dicendo. Tant’è che, durante il viaggio, parlano tra di loro esattamente del contrario di ciò che Gesù cercava di trasmettere loro: non riescono proprio a “pensare secondo Dio”. Lo dice esplicitamente l’evangelista: “non capivano e avevano timore per interrogarlo”.

Qui ci si potrebbe chiedere: perché avevano timore di chiedere spiegazioni, visto che altrove lo fanno? Oltre la dinamica narrativa dell’evangelista, potremmo intuire che nemmeno volevano capire quella logica della donazione totale di sé e dell’essere “servo di tutti”. Si parla tanto del servire, si fanno tanti discorsi elogiativi di ciò che il servire gli altri significa, si lodano coloro che fanno qualcosa per gli altri, ma tante volte tutte queste parole si dimostrano essere una vera retorica del servizio. Parole elogiative, sì, ma parole che magari suscitano qualche bella emozione, ma non rispecchiano una volontà reale di vivere davvero nel servizio evangelico degli altri. Quante belle parole sul servire gli altri stiamo sentendo ogni giorno! La prova che le parole sul servizio sono solo parole è il grande bisogno di tante persone che non hanno casa, non hanno il minimo indispensabile per la vita e continuano a permanere così, senza che, in realtà, si faccia veramente qualcosa. Eppure, si parla del servizio.

Anche oggi si verifica il fatto che Dio – attraverso i tanti bisogni elementari di tantissime persone (pensiamo in questo periodo ai fratelli afgani, per esempio) – ci sta dicendo che “chi vuole essere il primo sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti” ed il mondo di fatto sta parlando di chi è il più grande: basti pensare di ciò che stanno discutendo tra loro coloro i grandi del nostro tempo. La retorica del servizio!

Come si fa a vivere realmente secondo Dio ed evitare di farlo secondo gli uomini? Sicuramente, è una sfida che chiede uno sforzo di purificazione interiore, delle intenzioni nascoste del cuore. È qui che inizia tutto il servizio autentico. Perché ci sono situazioni dove uno aiuta, si rende servo, ma di fatto, in fondo in fondo, cerca di essere il primo. Rimanere sempre all’ultimo posto per poter veramente servire necessita di un discernimento dei propri movimenti interni, del cuore. I discepoli non capiscono e avevano timore di interrogare Gesù forse perché conveniva loro di non scendere nel loro cuore per mettere ordine nelle intenzioni profonde della loro vita, dunque smascherare quella retorica nascosta ed entrare nello scomodo “essere l’ultimo di tutti ed il servo di tutti”.

Nella prima lettura tratta dal libro della Sapienza troviamo in questo testo i primi riferimenti importantissimi alla figura del Messia che dovrà patire, soffrire, essere giudicato e condannato a morte. Leggiamo. Infatti nel testo di Isaia: “Tendiamo insidie al giusto che poi è di inciampo e si oppone le nostre azioni, ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le tradizioni contro l’educazione ricevuta”.

Come è facile capire, si tratta di un riferimento circa l’azione di formazione delle coscienze che Gesù porta avanti nel suo Ministero pubblico.

Proprio in ragione di questa sua incidenza nella vita morale personale e sociale del suo tempo, Gesù viene considerato come un elemento di inciampo, di scomodo che bisogna eliminare. E Infatti viene messo alla prova attraverso le varie forme di violazione della sua libertà di espressione, di movimento e anche di manifestazione della sua stessa identità personale, che è quella di Figlio di Dio. Nel testo della Sapienza, leggiamo testualmente: “Vediamo se le sue parole sono vere, consideriamo ciò che gli accadrà alla fine”. Se è giusto e Figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Il passaggio più significativo di questo brano lo troviamo proprio nel versetto seguente: “Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti, lui che conosce la mitezza e saggiamo il suo spirito di sopportazione”. È questo proprio un riferimento esplicito a quella che sarà la fine del Divino maestro. Condanniamolo a una morte infamante, perché secondo le sue parole il soccorso gli verrà. Il quadro è quello del futuro Gesù Cristo, Crocifisso. Egli viene già descritto nella sua estrema sofferenza in questo breve testo del Libro della Sapienza.

Anche la seconda lettura tratta, dalla lettera di San Giacomo Apostolo, troviamo indirettamente, riferimenti alla figura mite di Gesù. Leggiamo, infatti: “Fratelli miei, dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine ed ogni sorta di cattive azioni. Invece, la Sapienza che viene dall’alto è anzitutto pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale, sincera”.

Gesù è il Messia paziente, puro, mite e arrendevole, usa misericordia e ha un atteggiamento di comprensione e di perdono verso tutti. Gesù è la Sapienza incarnata, che viene dal cielo. Se viviamo in Lui e di Lui non ci possono essere conflitti, divisioni tra di noi.

Per cui, se facciamo tesoro della parola di Dio e la mettiamo in pratica, cioè la viviamo concretamente ogni giorno, tra di noi si abbattono muri, anziché alzarli, come sta succedendo in questo tempo in cui tanti profughi afghani scappano via dal proprio paese per trovare approdo presso paesi più civili ed anche più accoglienti.

Concludendo questa riflessione sulla parola di Dio di oggi, facciamo tesoro di quello che scrive l’apostolo Giacomo in questo brano della sua splendida lettera: “Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a noi”? E ci sono. Non possiamo negarle perché è così. “Non vengono dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra?”.

Quali sono le passioni a cui fa riferimento san Giacomo? La gelosia l’invidia, la cattiveria, la malizia la ed altre simili o più terribili che spingono a fare guerra e tendono a distruggere gli altri. Perché succedono tutte queste cose. L’apostolo Giacomo esprime il suo pensiero in merito: “Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere, uccidente, siete invidiosi e non riuscite a ottenere, combattete e fate guerra, non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete, perché chiedete male, per soddisfare, cioè le vostre passioni.

Monito quindi a non chiedere a Dio, agli altri, alle persone, alla società le cose che sono immorali, che non sono ingiuste, che sono contro la verità, che superano ogni limite morale.