Ci sarà gioia in cielo per un solo peccatore che si converte.

PRIMA LETTURA: Es 32,7-11.13-14

Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.

SALMO: (Sal 50)

Ricordati di me, Signore, nel tuo amore.

SECONDA LETTURA: 1 Tm 1,12-17

Cristo è venuto per salvare i peccatori.

«In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».

Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Lc 15,1-32

Dio instancabilmente nella ricerca e nell’attesa dell’uomo, dell’Adamo perduto: è questa l’immagine divina che si ricava dalle tre parabole della misericordia. Tutto, nella Scrittura, parla centralmente della misericordia del Signore. E soprattutto nel Vangelo di Luca. La missione di Gesù vi appare, fin dagli inizi, come compimento della Parola di un Messia che viene a prendersi cura dell’uomo povero e fallito (cfr. Lc 4,16-21). Una missione che, dopo un lungo e insistito annuncio, si compie sulla croce, dove, malfattore in mezzo ad «altri due malfattori», Egli dona il paradiso a quello dei due che si riconosce raggiunto nella sua stessa condanna da colui che non aveva compiuto alcun male (cfr. Lc 23,39-43). Sulla croce Gesù dona il perdono a coloro che lo crocifiggono e lo Spirito Santo a tutta l’umanità (cfr. Lc 23,33-34. 44-46). A partire da tale cura, la vita di fede del cristiano è un cuore aperto d’amore al dono, alla comunione, con tutti, nemici compresi (cfr. Lc 6,27-36). Tutto questo per dire che le tre parabole non sono un’incontrollata esagerazione, una scheggia impazzita di un’assurda misericordia, ma un’immagine di quella misericordia e cura di Dio per l’uomo perduto che costituisce tutto il Vangelo.

Oggi, se c’è una crisi della Chiesa, non è quella manifestata dal crollo della partecipazione oppure provocata dagli scandali. La crisi è una certa infedeltà dell’insegnamento, della prassi e della disciplina proprio al dettato della misericordia, soprattutto verso i più lontani, e quindi più bisognosi di scoprirsi cercati dal Signore, per donare loro la sua cura.

«Vi sarà gioia nel cielo (cioè in Dio) per un solo peccatore che si converte… C’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte… Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». È la festa del perdono. È la festa di Dio. La vita di un povero uomo smarrito vale più di tutta la gloria divina di cui gode. Altro che un Dio giudice impassibile e distaccato! Non può lasciar perdere una sola umanità, che, più è peccatrice, più le è cara.

Il pastore va in cerca della pecora perduta «finché non la trova»; la donna cerca accuratamente la moneta «finché non la trova»; il padre vede il figlio perduto «quando era ancora lontano», perché il suo cuore era andato lontano sulle vie della perdizione del figlio, per ritrovarlo. Davvero è l’immagine di un Signore che si perde finché non raggiunge chi si è perduto: non c’è limite, non c’è confine, non c’è misura, fino a perdere qualsiasi decorosità e convenienza. Noi speriamo perché il Vangelo ci rivela questo Dio perduto per l’uomo. In genere si dice: «Ciò che è perduto è perduto». Invece Dio dice: «Ciò che è perduto mi spinge a perdermi per ritrovarlo».

Basta guardare alla figura del padre della parabola. Non avvisa dei pericoli che il figlio può incontrare lasciando la casa paterna; attende instancabilmente il ritorno di chi era andato a sperperare la vita del padre; non lo rimprovera quando torna e non richiede spiegazioni né di “fare i conti”; lo accoglie gratuitamente nel suo fallimento e ancora nella sua incomprensione (era tornato a casa per bisogno del pane, non per desiderio del padre). Il padre esce poi incontro al figlio maggiore sdegnato e irato con il padre stesso; lo prega di entrare, con una supplice invocazione da servo; accoglie anche l’espressione di odio verso il fratello e l’accusa verso di lui di averlo accolto; anzi rinnova una sua totale fiducia in lui: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo». Appare un padre “debole” verso i propri figli. Eppure, è solo accogliendo gratuitamente il perduto e rinnovando la fiducia nel figlio che vive da schiavo che egli può recuperarli alla dignità e alla relazione di figli. È la forza dell’inermità del padre. È quella cura e quel recupero della relazione che sono avvenuti sulla croce di Gesù.

Conosciamo quasi a memoria questa parabola. Ma proviamo a lasciarci incantare e sorprendere da questo agire così scandaloso del padre, che è l’agire di Dio in Gesù Cristo. Perché la riconciliazione è avvenuta nel suo abbassamento, nel suo svuotamento (cfr. Fil 2,6-11) fino alla croce: quell’impotenza di Dio in Gesù Cristo opera una totale riconciliazione di tutto ciò che nell’uomo era perduto (cfr. Rm 5,8-11).

Il vestito più bello, l’anello al dito, i sandali ai piedi, la festa e il banchetto con il vitello grasso: la dignità più ricca e più bella, e la gioia più grande per chi è fallito nella sua dissolutezza. Quanto pesa l’amore di un padre! Sappiamo che in ebraico il termine «gloria» indica appunto il «peso»: la gloria di Dio è dunque l’abbraccio del padre per il figlio. Inopportuno e scandaloso, per chi ha fallito come figlio e vuol essere solo servo, per avere il pane. Ma Dio non sa cosa farsene di uomini capaci di vivere solo da servi, nell’osservanza delle leggi religiose, in culti a un lontano Dio, in morali disumane. Dio preferisce i perduti e i falliti, perché ad essi può far sperimentare il suo amore misericordioso, mentre un «servo non sa quello che fa il suo padrone» (Gv 15,15a).

Tutto è iniziato con lo scandalo degli uomini religiosi perché «si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo». Alla fine del racconto delle tre parabole, immagino Gesù che torna a «accogliere i peccatori e a mangiare con loro», per far sentire l’abbraccio del Padre per il figlio perduto, il calore del pastore che si carica sulle spalle la pecora «che aveva perduto», e la gioia della donna per aver ritrovato l’insignificante centesimo smarrito.