A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra.

PRIMA LETTURA: At 1,1-11

Fu elevato in alto sotto i loro occhi.

SALMO: (Sal 46)

Ascende il Signore tra canti di gioia.

Oppure:

Alleluia, alleluia, alleluia.

SECONDA LETTURA: Ef 1,17-23

Lo fece sedere alla sua destra nei cieli.

«In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.

Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Mt 28,16-20

L’Ascensione del Signore Gesù al cielo non può essere la “festa” della sua partenza e della sua conseguente assenza: nemmeno la promessa dello Spirito può sopperire alla mancanza e provocare la gioia. Gesù che sale al cielo non raggiunge un luogo lontano e misterioso: va al di là dell’immediatezza di ciò che è direttamente visibile, per creare con noi una relazione più profonda: questo è il vero motivo della gioia. Avviene come fra due persone che si amano: perché la relazione si faccia salda e permanente bisogna andare oltre il “palcoscenico”, bisogna trasfigurare la relazione, cioè attraversare la figura, per scoprire ciò che rimane oltre di essa.

Gesù aveva fissato l’appuntamento con i suoi discepoli, per vederlo Risorto, su un monte della Galilea. Da quella regione aveva iniziato il suo ministero pubblico: la «Galilea delle genti», «il popolo che abitava nelle tenebre» (cfr. Mt 4,12-17). Aveva iniziato dai più lontani, da quelli che i religiosi consideravano senza fede. Aveva proclamato loro le beatitudini e l’unica grande legge: essere come il Padre, che ama di un amore assolutamente gratuito (cfr. Mt 5,38-48). In Galilea Gesù aveva poi compiuto miracoli, ma, alla fine, vi aveva sperimentato il fallimento del proprio ministero: pochi gli avevano creduto, cioè i piccoli e i poveri, che, secondo la provvidenza del Padre, diventavano splendida e trasparente icona del Vangelo (cfr. Mt 11,25-30): grazia, dono gratuito, sorpresa immeritata. La Galilea rappresenta tutto questo, e qui il Risorto incontra i suoi. Sta a dire che la ripartenza della Chiesa può essere solo a iniziare dal Signore Gesù, dal suo essere il Risorto, in quanto ha raggiunto le periferie religiose, si è fatto Lui stesso marginalità di fede.

«Quando lo videro, i discepoli si prostrarono. Essi però dubitarono». Sono loro stessi appartenenti a quella Galilea dei lontani dalla fede. In Matteo, Gesù non li rimprovera né gli ammonisce: li fa partire da quella regione dei lontani dalla fede che essi stessi portano nel cuore, «andate e fate discepoli».

Ci domandiamo come la Chiesa possa oggi, invece, farsi selettiva delle persone accogliendole in base alla fede e alla morale collegata, mentre il suo DNA è proprio l’incredulità dei primi discepoli che erano stati con Gesù, e l’annuncio del loro ministero è dalla Galilea dei lontani, dalla regione dove è stata più splendente la gratuità del dono divino.

«Fate discepoli tutti i popoli»: il Vangelo possa coniugarsi presso ogni cultura e lingua. È l’opera dello Spirito Santo, come contempleremo a Pentecoste. Significa che il contenuto della fede è sempre lo stesso, ma le forme in cui viverlo variano da epoca ad epoca, e da regione a regione. Possiamo dire, da situazione umana ad un’altra. La bellezza del Cristo sta nel fatto che è per tutti: anche per le vite più lontane e contraddittorie. Forse non lo crediamo a sufficienza, e perciò irrigidiamo tutto dentro delle uniche forme, che possono garantire almeno la parte legata alla tradizione. Ma, oggi, ormai anche questa viene meno. I discepoli sono partiti verso l’oriente, altri sono andati fino a Roma e la Spagna: si sono formate liturgie diverse e stili diversi di Vangelo. Solo una successiva difficoltà di comunicazione ha portato alla divisione fra le Chiese e al monolitismo religioso. In ogni espressione di vita c’è almeno un briciolo di Vangelo: questa è la fede da vivere e da comunicare, come annunciatori di Gesù.

«Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»: questa è l’Ascensione del Signore Gesù. È un altro tipo di presenza: quella che rinvia alla vita della comunità. Infatti Gesù aveva detto: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). E si riferiva alla preghiera fatta insieme riguardo ad una questione di difficoltà di relazioni all’interno della comunità cristiana: dopo aver provato a correggere il fratello, ci si affida alla preghiera, per trovare, in Dio, nuovo amore al fine di un intessere comunione; lì Gesù è con noi (cfr. Mt 18,15-20).

La peggiore malattia che rischia di infettare la Chiesa oggi è l’individualismo. Come il consumismo ha bisogno di persone sole, perché si ritrovino nel comperare, così una certa devozione dà vita a un consumismo religioso, fatto di pratiche e devozioni a fruttare benefici divini personali. In fin dei conti, il primo insegnamento “pratico” di Gesù, nel Vangelo di Matteo, subito dopo le beatitudini, è stato il rispetto sempre dell’altro (guai anche a chi gli dice «stupido») e di lasciar perdere la tua offerta all’altare e di andare a riconciliarti con il fratello, prima di tutto: questo è il dono religioso che Dio gradisce (cfr. Mt 5,21-24).

«Fino alla fine del mondo». Non amo molto le prospettive catastrofiche: Dio ha amato questo mondo e questa storia fino a darci suo Figlio, perciò non pensa di distruggerlo. Certo, con la Pasqua di Gesù questo mondo è diventato tutt’altro: vi ha vinto l’amore. Letteralmente, il vocabolo tradotto con «fine» indica un «convergere insieme per raggiungere il compimento», la realizzazione del senso (il fine, non la fine). La presenza del Signore Gesù ad aiutarci nel cammino della fraternità ci accompagna a compiere insieme la storia, fino a che essa non si realizzi pienamente in un vivere umano da fratelli, senza più ombra di divisione e ostilità, fino al fine della fraternità: il Regno della pace e della fratellanza.