Undicesima meditazione del 19 ottobre 2019 (mattino)
Lidia – Patrona e protettrice
È Maria, la madre di Gesù, la patrona e protettrice dell’umanità intera, colei che intercede per i figli: la sua intercessione a Cana ottenne la trasformazione dell’acqua in vino.
Sant’Alfonso, che amava Maria e aveva compreso che era la sua patrona e protettrice, si rivolgeva a Dio dicendo: Dio mio concedimi la grazia che Maria ti chiede per me (S. Alfonso)
Preghiera iniziale
La mia più bella invenzione, dice Dio, è mia madre.
Mi mancava una mamma e l’ho fatta.
Ho fatto mia madre prima che ella facesse me. Era più sicuro.
Ora sono veramente un omo come tutti gli uomini.
Non ho più nulla da invidiar loro, poiché ho una mamma. Una vera.
Mi mancava.
Mia madre si chiama Maria, dice Dio.
La sua anima è assolutamente pura e piena di grazia.
Il suo corpo è vergine e pervaso da una luce tale che sulla terra mai mi sono stancato di guardarla, di ascoltarla, di ammirarla.
È bella mia madre, tanto che lasciando gli splendori del cielo, non mi sono trovato sperduto vicino a lei. (Michel Quoist)
Introduzione
Ma abbiamo già accennato anche ad altri esempi di protettrice/patrona: abbiamo già detto di Febe, oggi parliamo di Lidia. Di lei si parla negli Atti degli Apostoli, libro concepito per rafforzare la fede di chi già crede, e si capisce che ella prese parte all’opera evangelizzatrice e missionaria di Paolo.
Lettura del testo
(At 16,11-15.40)
11 Salpati da Tròade, facemmo vela direttamente verso Samotràcia e, il giorno dopo, verso Neàpoli 12 e di qui a Filippi, colonia romana e città del primo distretto della Macedonia. Restammo in questa città alcuni giorni. 13 Il sabato uscimmo fuori della porta lungo il fiume, dove ritenevamo che si facesse la preghiera e, dopo aver preso posto, rivolgevamo la parola alle donne là riunite. 14 Ad ascoltare c’era anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiàtira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo. 15 Dopo essere stata battezzata insieme alla sua famiglia, ci invitò dicendo: “Se mi avete giudicata fedele al Signore, venite e rimanete nella mia casa”. E ci costrinse ad accettare. 40 Usciti dal carcere, si recarono a casa di Lidia, dove incontrarono i fratelli, li esortarono e partirono.
Commento
Ci troviamo nel cosiddetto “secondo viaggio missionario di Paolo” (in realtà è il primo che compie come “capo missione”), con lui si trova Sila (15,40); hanno l’intenzione di andare a trovare le comunità cristiane nelle città dove era già stata predicata la Parola (cfr. 15,36); così da Antiochia attraversano la Siria e la Cilicia; a Listra prendono con sé Timoteo e attraversano la Frigia e la Galazia; di qui vogliono dirigersi verso la Bitinia, ma “lo Spirito non lo permise loro” (16,7); trovandosi nel porto di Troade, “durante la notte apparve a Paolo una visione” (16,9): un uomo macedone (ανηρ Μακεδων) che lo supplicava di andare da loro in Macedonia ad aiutarli. Il narratore conclude: “Dio ci aveva chiamati ad annunziarvi la parola del Signore”.
Passando per la Samotracia e Neapoli, il gruppo missionario giunge a Filippi[1], una colonia romana. Dopo alcuni giorni – scrive il narratore (16,13a) – “Il sabato uscimmo fuori della porta, lungo il fiume, dove ritenevamo che si facesse la preghiera… e rivolgevamo la parola alle donne”.
Una di queste donne macedoni è Lidia, la prima convertita da Paolo in Europa, che collaborò con lui per assicurare il successo della missione evangelizzatrice nel nuovo territorio.
La città dove si svolgono i fatti è Filippi; il nome viene da Filippo II, padre di Alessandro Magno; era una piccola città; occupava però una posizione strategica sulla via Egnatia. Divenuta colonia romana dal 42 a.C., godeva dello Jus Italicum (autoamministrazione e immunità da tasse di proprietà), era dunque in tutto una città romana.
In questa città vivevano alcuni Giudei o seguaci della religione giudaica (simpatizzanti, proseliti e timorati di Dio); il fatto che Paolo e i suoi seguaci cercassero un luogo un po’ in disparte dove fare la preghiera di sabato lascia intendere che non c’era una sinagoga nella città. Forse perché erano pochi i Giudei presenti a Filippi, non sufficienti a formare il quorum per una sinagoga? O si radunavano fuori perché erano discriminati dalle autorità?
Flavio Giuseppe annota che un decreto di Alicarnasso autorizzava i Giudei a «fare le loro preghiere (προσευχας) sulla riva del mare, secondo l’uso dei loro padri» (Ant. XIV 10,23).
Raggiunto il luogo dove pregare, Paolo e i suoi si misero a sedere e parlarono a delle donne che si erano là radunate.
Il verbo greco utilizzato dall’autore, al v.13, per dire che le donne erano “là riunite”, è συνερχομαι, termine che indica non un incontro casuale, bensì un convenire deliberato e comunitario (cfr. Lc5,15; At2,6.11; 10,45; 1Cor11,17-34; ecc.): le donne cioè avevano preso l’iniziativa di riunirsi in assemblea per la preghiera senza il concorso di uomini. Si tratta di una annotazione di rilievo, questo è un fatto significativo, singolare, unico in tutto il NT. Queste donne non sono lì insieme, e per di più a pregare, per caso!
Ciò che è casuale nel racconto non è la riunione ma, per loro, l’incontro iniziale con Paolo e i suoi compagni, se non c’era la sinagoga e quello era il luogo di raduno abituale, Paolo non si trova lì casualmente: era sua abitudine andare nel luogo della preghiera degli ebrei, nelle città dove man mano si recava.
Al v.13 si dice che gli Apostoli, giunti nel luogo dove ci si riuniva per la preghiera, “dopo aver preso posto…”, rivolgevano le parole alle donne: se ne parla, si dice con naturalezza; le azioni del sedersi e iniziare a parlare (καθιζω e λαλεω) sono tipiche, nel modo dei Giudei, di chi si accinge a comunicare un insegnamento, sia nelle sinagoghe che all’aperto (cf. Lc 4,20-21; 5,3; At 13,14-15; Mt 5,1-2; ecc.); l’essere radunati in un luogo per un motivo religioso, seduti e parlare indica una circostanza in cui si insegna, si interpreta e si predica la Scrittura, agli uditori che ci sono. (È forse cambiato il contesto culturale, a cui Paolo si adegua con semplicità “cristiana”).
L’uso dei verbi all’imperfetto segnala un’azione continuativa e ripetuta; la seconda persona plurale – “rivolgevamo la parola” – dimostra che non è Paolo soltanto a prendere la parola, ma anche i suoi compagni; certamente le donne non sono rimaste sempre in silenzio: come avrebbero potuto Paolo e compagni infatti rendersi conto che esse comprendevano la loro lingua e che erano interessate a quell’insegnamento?
Il v. 14a ci presenta la protagonista della scena: “Ad ascoltare c’era anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiatira, una credente in Dio”.
Il nome Lidia originariamente designava un abitante della regione omonima (colonia della Macedonia), ma almeno a partire da Orazio (Odi I, 8, 1) era già un nome proprio di persona. La donna era di Tiatira, città rinomata per la produzione della tinta di porpora[2]. Il fatto che fosse commerciante e forse anche fabbricante “fuori piazza” di questo prezioso prodotto, che tanti amavano sfoggiare nelle corti e tra le famiglie benestanti (cfr. Lc 16,19), induce a pensare che Lida sia stata una donna indipendente economicamente, con delle persone alle sue dipendenze e capace di gestire bene l’impresa commerciale. Dato che commerciava porpora, è probabile che la sua clientela appartenesse agli strati più alti della società di Filippi e includesse anche funzionari romani[3].
L’accorto senso degli affari può spiegare il trasferimento di Lidia da Tiatira a Filippi. dove aveva una casa abbastanza grande da accogliere una comunità di credenti composta, si stima, da circa trentacinque persone.
Lidia, però, pur essendo una commerciante, cercava qualcosa di più, non erra soddisfatta di quanto aveva.
Luca la descrive dicendo che era una “credente [o adoratrice] di Dio”. Di per sé l’espressione indica chi è devoto di Dio in senso generico; ma negli Atti indica sempre chi tra i pagani – uomo o donna – è seguace della religione dei Giudei e frequenta la sinagoga. Si presume, perciò, che Lidia fosse una proselita ebrea. Tuttavia questo non è certo. In più, è molto probabile che, pur conoscendo il Dio di Israele, Lidia continuasse a pregare una o più divinità pagane. La devozione a più di una divinità non era un fatto insolito nell’area del Mediterraneo, dove culti paralleli esistevano fianco a fianco. Alcuni di essi, quelli di Diana e di Iside ad esempio, erano particolarmente attraenti per le donne, che servivano le dee come sacerdotesse e assumevano anche ruoli di guida. Il cuore di Lidia, però, era aperto a Dio e, incontrato Paolo, decise di farsi battezzare insieme alla sua famiglia.
Al v. 14b leggiamo: “Il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo”: l’iniziativa è di Dio, solo il Signore è in grado di aprire il cuore degli esseri umani. Lo stesso verbo διανοιγω (Lc 2,23; 24,31s. 45; At7,56; 17,3; unica altra ricorrenza: M 7,34), si ritrova nell’episodio dei discepoli di Emmaus: “si aprirono (διηνοιχθησαν) i loro occhi” (Lc 24,31); “Non ardeva forse il nostro cuore quando egli, lungo la via, ci parlava e ci spiegava (διηνοιγεν) le Scritture?” (24,32); “Allora aprì loro la mente all’ intelligenza delle Scritture” (Lc24,45). Specialmente quest’ultima frase sta in parallelo con la nostra: in entrambi i casi è il Signore ad agire, egli apre il cuore o la mente.
Nell’antropologia semitica non c’è una grande differenza di senso tra i due termini: cuore e mente. Nella LXX νους , “mente”, è raro; è usato 6 volte per tradurre l’ebraico leb-lebab (“cuore”).
v. 15 “Dopo essere stata battezzata insieme alla sua famiglia, ci invitò dicendo: «Se mi avete giudicato fedele al Signore, venite e rimanete nella mia casa». E ci costrinse ad accettare”. Molto probabilmente, essendo commerciante di porpora, era benestante e aveva perciò una casa abbastanza grande da poter accogliere un gruppo discretamente nutrito di persone, si stima circa trentacinque.
Il narratore a questo punto sintetizza e non aggiunge molti particolari; restano dunque aperte alcune domande: Lidia è stata battezzata subito, quel sabato lì al fiume, o ci sono state altre catechesi prima del battesimo?
Se facciamo riferimento a episodi simili (cfr. il battesimo dell’etiope eunuco, cap.8,26-39 o quello del carceriere) bisogna optare per un battesimo immediato; se così è stato, insieme a lei viene battezzata “la sua casa”, tutta la sua cerchia familiare, compresa la servitù.
Il testo non menziona il marito né un’altra autorità maschile[4] dalla quale Lidia dovrebbe dipendere; il racconto tratteggia Lidia come capace di decidere da sola, di aprire la casa a Paolo e ai suoi compagni e si discosta dalle solite descrizioni di donne del I secolo, la cui vita era definita dal patriarcato, ossia dall’autorità del padre o del marito. si deve dedurre che Lidia fungeva da capofamiglia.
L’adesione di fede di Lidia, riconosciuta da Paolo e collaboratori e confermata nel battesimo, trova anche una visibilità nel vissuto attraverso il gesto dell’ospitalità da lei generosamente offerta – anzi, quasi imposta ai missionari; e qui Paolo fa un’eccezione al suo principio di rinunciare al diritto di farsi mantenere dalle comunità, benché il patronato fosse un’istituzione sociale diffusa.
Paolo è sempre stato contrario a ricevere per sé aiuti materiali o compensi dalle comunità che andava evangelizzando: cfr.1Cor 9,4.6-18, 2Cor 7,2; 11,7-10; in Fil 4,15-16 abbiamo la conferma di questa eccezione: “Proprio voi, Filippesi, sapete che all’inizio dell’evangelizzazione, quando lasciai la Macedonia, nessuna chiesa aprì un conto con me di dare e di ricevere, eccetto voi soli, e che una o due volte, mentre ero a Tessalonica, avete provveduto alle mie necessità”. Anche gli Atti degli Apostoli attestano questo principio: (cfr. At 18,3; 20,34) “Voi sapete che alle mie necessità e a quelle di coloro che erano con me hanno provveduto queste mie mani”.
Il verbo qui usato, παραβιαζομαι, letteralmente significa “costringere con la forza, imporre”: ricorre un’altra volta nell’episodio dei discepoli di Emmaus: “essi lo costrinsero (παρεβιασαντο), dicendo: «Resta con noi, perché si fa sera ed il sole ormai tramonta». Ed egli entrò per rimanere con loro» (Lc 24,29). Questo e altri paralleli tra i due racconti sono indicativi del fatto che l’azione di Cristo risorto continua nell’azione dei suoi testimoni, donne comprese.
Lidia apre le porte della sua casa a Paolo e ai suoi collaboratori, così come il Signore aveva aperto il suo cuore alle parole di Paolo, e diventa sua patrona: Paolo accetta l’aiuto di lei, che gli offre aiuto materiale e un tetto. In questo modo la casa di Lidia diventa la sede ufficiale della nascente comunità cristiana a Filippi.
Il primato della sua casa, e quindi il ruolo di guida nella crescita della Chiesa a Filippi, risulta evidente leggendo la fine del capitolo 16 degli Atti degli Apostoli. Dopo la loro miracolosa scarcerazione, Paolo e Sila sono invitati a casa del loro carceriere, catechizzano e battezzano la sua famiglia, formando una nuova cellula di credenti in Cristo. Quando i magistrati li dichiarano liberi, invece di restare a casa del carceriere si recano da Lidia. E lì Paolo rivolge la sua esortazione finale alla Chiesa di Filippi.
Conclusione
L’uomo macedone (ανηρ Μακεδων) della visione si è rivelato in realtà una donna! Anzi, un gruppo di donne, una casa che, grazie all’adesione di fede di Lidia, va a costituire il nucleo iniziale della comunità dei Filippesi, una comunità che più delle altre darà a Paolo gioia e collaborazione. Lidia è la prima persona, fuori della Palestina, che, ascoltando la predicazione dell’Apostolo, accoglie il vangelo e si fa battezzare.
Resta la domanda: perché Paolo, scrivendo ai Filippesi a distanza di alcuni anni da questo episodio, non menziona Lidia? Forse aveva già lasciato Filippi? (così Penna, Filippesi, cit., p. 128) O lei, nel frattempo, era morta? In ogni caso è abbastanza probabile che le altre due donne menzionate nella lettera, Evodia e Sintiche (Fil 4,2-3), facessero parte dell’entourage di Lidia, che frequentassero quella che era stata la sua casa, ormai stabilmente divenuta chiesa domestica.
Il battesimo di una donna – non in quanto moglie di qualcun’altro che si fa battezzare “con la sua casa” – è a sua volta la dimostrazione che si sono infrante le divisioni e discriminazioni che impedivano alle donne di entrare in una condizione di uguaglianza con gli uomini; il superamento della circoncisione, attraverso il battesimo di tutti i credenti in Cristo, aveva annullato anche nei fatti non solo il “muro di divisione” tra Giudei e gentili (cfr. Ef 2,14), tra schiavi e liberi, ma anche quello tra uomo e donna. È difficile immaginare l’impatto che questa “buona notizia-novità” ha avuto nella vita sociale e religiosa delle persone che a quel tempo abbracciarono la fede cristiana.
L’adesione alla fede di Lidia – che nell’ottica lucana ha significative analogie con i discepoli di Emmaus – la rende punto di riferimento per la nascente comunità, e la sua casa diviene chiesa domestica (16,40). La sua storia vuole essere anche un paradigma per tutte quelle donne che con il loro coraggio, la loro generosità e l’impegno missionario hanno reso possibile la diffusione della Parola di Dio che ha fatto la chiesa.
Un ultimo aspetto da considerare: la chiesa di Filippi è nata fra donne. Ma anche: il Signore aveva in qualche modo già preparato il terreno anche con loro: la loro decisione di attuare l’incontro di preghiera anche in assenza di quella degli uomini.
Naturalmente alle comunità si riunirono anche alcuni uomini che svolsero poi ruoli guida, ma le donne continuarono a svolgere ruoli importanti nella comunità.
Preghiera finale
Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio Santa Madre di Dio,
non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova,
ma liberaci da ogni pericolo,
o Vergine Gloriosa e Benedetta. Amen
Dodicesima meditazione del 19 ottobre 2019 (pomeriggio)
Giunia – La donna apostolo
La meditazione di oggi è su una donna che è stata apostolo di Gesù, ha conosciuto il Signore, ha dedicato la sua vita all’evangelizzazione e ha fatto anche l’amara esperienza del carcere.
Iniziamo questa meditazione con la lettura della Parola di Dio.
Preghiera iniziale
Siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù (Ef2,19-20)
Introduzione
Nel v. 7 del capitolo 16 della lettera ai Romani, Paolo saluta Andronico e Giunia, due nomi che sembrano designare una coppia simile a quella menzionata nel v. 3 composta da Aquila e Prisca.
Il nome Giunia è stato per lungo tempo al centro di un intenso dibattito. Anche se le edizioni attuali delle lingue parlate lo traducono al femminile, ci sono stati periodi in cui il nome è stato tradotto al maschile, come Giunio. È interessante capire perché e su quale base.
Leggiamo il testo.
Lettura del testo
Rm 16,7
7 Salutate Andrònico e Giunia, miei
parenti e compagni di prigionia: sono insigni tra gli apostoli ed erano in
Cristo già prima di me.
Commento
Siamo nel capitolo 16 della lettera ai Romani,
quello finale, nel quale Paolo saluta un gruppo di uomini e di donne,
probabilmente responsabili di diverse comunità paoline. Tra questi menziona come
Andronico e Giunia, che annovera tra gli apostoli insigni e tra i primi seguaci
di Cristo; sono suoi parenti e compagni nella prigionia.
Se Giunia è una donna nasce un quesito è possibile pensare a una donna apostolo, compagna di prigionia di Paolo e da annoverare tra i primi seguaci di Cristo?
Iniziamo dalla questione del nome[5]. Il nome è all’accusativo, Iounian, è stato oggetto di qualche incertezza testuale: in alcuni manoscritti appare riprodotto in modi diversi. A volte è scritto Iulian (Giulia), ma ancora più curioso è il cambiamento dell’accento circonflesso o acuto posto sul nome. L’attribuzione di un accento piuttosto che un altro non è ininfluente. Un accento circonflesso sull’ultima sillaba indica che quel nome deve essere letto come maschile, mentre un accento acuto sulla penultima sillaba indica che quel nome è molto probabilmente femminile.
Nel caso di Iounian, le edizioni critiche hanno mantenuto la lettura maschile dal 1927 (Edizione Erwin Nestle) fino a pochi anni fa (2001), quando le edizioni più utilizzate dagli esegeti, come la Nestle-Aland e quella United Bible Societies, hanno iniziato a scrivere il nome con l’accento acuto, propendendo quindi per una lettura al femminile.
Il fatto che queste edizioni propongono l’una o l’altra opzione ha una grande rilevanza perché la scelta determina l’esegesi dei testi.
In realtà fino al VII secolo i manoscritti su cui poggia la lettura maschile erano manoscritti maiuscoli non accentati. Se le testimonianze che non presentano accenti sono anteriori al VII secolo, la lettura maschile del nome resta senza base.
Esistono invece testimonianze testuali della lettura femminile, che si collocano tra il VI-VII e il IX secolo. L’accentazione e l’interpretazione femminile del nome divennero comuni a partire dal IX e fino al XIII secolo, quando Egidio Romano decise di leggere il nome come maschile, senza spiegare perché si discostava dal consenso precedente. La lettura maschile si impose nel XVI secolo come dominante, con la versione a cura di Lutero del Nuovo Testamento, anche se la lettura femminile continuò ad avere sostenitori. Nel XX secolo Marie Joseph Lagrange si mostrò propenso interpretare Iounian come femminile.
Quali motivi sono stati addotti a favore della lettura maschile del termine Iounian? Alcuni interpreti hanno fatto ricorso alla onomastica greca e latina per le forme dei nomi e gli usi più comuni. Secondo i difensori del significato maschile, il nome sarebbe il diminutivo di Junianus. Tuttavia, mentre Giunia come nome femminile era molto comune, non ci sono testimonianze per Giunio come presunta abbreviazione di Junianus. Inoltre i nomi latini non venivano abbreviati come quelli greci, venivano invece allungati. Pertanto si può dire che, oltre ai manoscritti, anche la filologia e l’onomastica non avallano la lettura maschile del nome, bensì quello femminile.
La lettura femminile del nome era stata la più comune tra gli autori più antichi. Origene aveva optato per la variante testuale Giulia, e sia lui sia San Girolamo o Giovanni Crisostomo avevano interpretato come femminile il nome Iuniana.
San Giovanni Crisostomo scrive:
«Stare tra gli apostoli è già una grande cosa, ma essere insigni tra loro considera che è un grande elogio; ed erano insigni per le opere e le azioni virtuose. Immagine quale doveva essere la filosofia di questa donna, se era ritenta degna dell’appellativo degli apostoli»[6].
La lettura e l’interpretazione patristica del nome come femminile sono stati tra i motivi che hanno portato gli esegeti cattolici a essere più restii ad accettare Giunia come diminutivo di Iunianus. Inoltre, Paolo aveva già citato nel v.3 un’altra coppia, Prisca e Aquila, che probabilmente erano marito e moglie, missionari responsabili di una Chiesa domestica.
In alcuni commenti antichi e moderni si menziona a favore del genere maschile la definizione “apostoli insigni”. Il ragionamento parte dalla convinzione che una donna non poteva essere apostolo.
Possiamo affermare con sufficiente sicurezza che il nome Giunia si riferisce a una donna, probabilmente la moglie di Andronico. A questo punto è necessario riflettere su ciò che il testo dice di lei e del marito: parenti di Paolo, compagni di prigionia, apostoli insigni, in Cristo prima di lui.
Parenti di Paolo. Il termine utilizzato qui da Paolo, e che ritorna anche in Rom 9,3, indica che si tratta di una donna che appartiene al popolo giudeo, che ha la stessa origine etnica di Paolo[7].
Andronico e Giunia sono due personaggi importanti perché sono stati discepoli di Cristo prima di Paolo. Paolo li menziona in coppia: sono tra coloro che rappresentano le vere guide della comunità, l’accento doveva mirare ad accrescere sull’uditorio e nei lettori la loro autorità.
Compagni di prigionia. Anche Prisca e Aquila sembrano aver condiviso un periodo di prigionia con Paolo. Si può pertanto affermare che pure Giunia abbia subito la prigionia a causa del vangelo, l’esperienza dura della prigionia.
Apostoli insigni. L’appellativo apostoli ha suscitato problemi di interpretazione. Alcuni lo intendono come escludente, per cui Andronico e Giunia sono conosciuti e stimati tra gli apostoli ma non sono apostoli; altri lo intendono come includente: Andronico e Giunia fanno parte del gruppo degli apostoli. Giunia, perciò, è un apostolo.
Il sostantivo e l’aggettivo apostolo indicano un messaggero, un ambasciatore, un delegato da parte di qualcuno. Come è noto, questo termine è ricorrente nel NT, ma è frequente anche nella cultura ellenistica, soprattutto nell’ambito cinico-stoico: qui il filosofo veniva concepito come messaggero della divinità, quindi era apostolo.
Probabilmente il retroterra culturale del termine apostolo usato nel NT è quello ebraico giudaico. Nel NT, in particolare l’evangelista Luca con il termine apostolo designa un individuo che fa parte del gruppo dei discepoli, più frequentemente detti i Dodici che sono anche testimoni dell’Ascensione di Gesù.
Paolo invece dà al termine apostolo una connotazione più ampia, considera se stesso come apostolo. Apostolo, per Paolo, è colui che ha fatto esperienza del risorto e da lui è stato inviato ad evangelizzare le genti. Gli apostoli, dunque, formano un gruppo diverso e più numeroso di quello costituito dai dodici, anche se sempre in stretto rapporto con Gesù. Il concetto paolino di apostolo risponde meglio alla realtà delle prime comunità cristiane formate da persone che hanno visto il Signore e, dopo la Pentecoste divennero testimoni del Risorto. Sono israeliti, ebrei e persone libere.
Andronico e Giunia sono israeliti, ebrei liberi, che hanno visto Gesù e insieme a tanti altri sono impegnati nell’azione evangelizzatrice. A causa della loro fede sono finiti in carcere.
In Cristo già prima di
lui. Giunia era diventata credente e discepola di Gesù prima di Paolo.
Deve essere stata una seguace della prima ora. Il suo nome fa pensare che fosse
una giudeo-ellenista residente a Gerusalemme, e
convertitasi abbastanza presto, dopo avere ascoltato Gesù, ed è tra colo che
hanno fatto l’esperienza del risorto. Per scelta, per le situazioni che si
erano create a Gerusalemme, a causa delle tensioni che si erano create a
seguito della risurrezione con le autorità del tempio, lasciò Gerusalemme e
andò verso altri luoghi dove portò il messaggio di Gesù. Fu probabilmente una
delle prime missionarie a Roma. L’annunciò del vangelo le comportò l’arresto,
la prigionia, e forse proprio in prigione conosce Paolo. Tutto ciò le conferì
un posto eminente tra gli apostoli. È evidente che il suo essere donna non le
impedì di essere apostolo e di diffondere il vangelo.
Conclusione
Giunia è prova della presenza delle donne
nelle sfere alte tra delle comunità dei primi cristiani e mostra come
l’organizzazione delle comunità e il loro status sociale fosse simile ai
modelli delle associazioni volontarie del mondo greco-romano, che erano
espressione di microsocietà e si collocavano dentro un ordinamento
istituzionale più vasto e autoritario, quello dell’impero romano nel I sec.
dell’era cristiana. Non a caso in alcuni culti sparsi nell’impero romano,
soprattutto quelli misterici che tendevano a costruire una società alternativa,
le donne svolgevano un ruolo di grande rilevanza.
Il ruolo peculiare della donna nel proto-cristianesimo potrebbe derivare anche da un altro modello o situazione sociale: alcuni gruppi dei segaci di Gesù sembrano avere la struttura non tanto di una associazione volontaria, ma di un gruppo familiare. In questa loro condizione appare chiaro perché le donne avessero un ruolo particolarmente attivo nelle comunità. Questo derivava, probabilmente, da una trasposizione dei poteri/compiti domestici femminili alla sfera comunitaria.
È significativo quanto già scrisse Giovanni Crisostomo a suo riguardo:
“Quant’è grande la sapienza di questa donna che è stata ritenuta persino degna del titolo di apostolo” (Ai Romani 31,2.).
Giunia è un buon esempio di come le donne con autorità siano state rese invisibili e come la loro autorità sia stata ricondotta a ambiti e modi che gli uomini di ogni epoca hanno ritenuto propri e consoni alle donne. Questi schemi hanno influito in modo decisivo al momento di fare memoria del passato, un’attività che, lungi dall’essere puramente aneddotica, è carica di futuro.
Preghiera finale
Beati i vostri occhi,
o apostoli di Cristo,
che hanno contemplato
il volto dell’amore.
Beati i vostri orecchi,
o apostoli di Cristo,
che hanno ascoltato
parole di sapienza.
Beati i vostri cuori,
o apostoli di Cristo
che hanno conosciuto la sua misericordia.
Beati i vostri piedi,
o apostoli di Cristo,
che hanno camminato all’eco del vangelo.
Beati i vostri nomi,
o apostoli di Cristo,
che ora e per sempre
vivete nel suo Regno.
Le conclusioni di Sr. Tina Carbone
Perché ho insistito sugli studi maschile/femminile a proposito di Giunia? Il fatto che l’interrogativo abbia continuato a suscitare nel tempo tanto interesse dice quanto è duro a morire nella chiesa il pregiudizio nei confronti delle donne, e sappiamo che anche oggi non è un tema così peregrino. E dice a noi di perseverare con tenacia nel coltivare in noi atteggiamenti di comprensione, umiltà, mitezza e determinazione, chiarezza e fermezza di pensiero su quanto è importante “l’altra metà del cielo”, la dimensione femminile della creazione, della redenzione, dell’amore del Padre, indipendentemente da chi la pensa in modo diverso.
Apostola? Sì, pienamente, e insigne, e anche prima di Paolo.
Certo, può far sorridere, questa specie di rivendicazione, ma è semplicemente
per confermarci nella certezza che davvero il Signore ama tutti senza
preferenze di alcun tipo.
[1] Va notato che proprio in questo brano la redazione passa bruscamente alla prima persona plurale: “subito cercammo” (16,10). È la prima delle tre cosiddette “sezioni noi” degli Atti (la seconda, in 20,5-15 + 21,1-18; la terza da 27,1 fino a 28,16) nelle quali non è facile identificare chi è il narratore degli eventi di cui egli stesso è protagonista. Probabilmente l’autore di queste sezioni è un testimone e accompagnatore di Paolo. Se si accetta l’ipotesi tradizionale – per la quale è lo stesso Luca a scrivere anche queste sezioni,– bisogna ammettere che a quel punto del viaggio, salpando da Troade verso la Macedonia (si passa dunque dall’Asia all’Europa), ai tre (Paolo, Sila e Timoteo) si era aggiunto anche Luca.
[2] Prodotti e indumenti color porpora di prima qualità erano beni di lusso che solo l’élite della società imperiale poteva permettersi.
[3] Cfr, AA.VV., Paolo e le donne, Vita e Pensiero, Milano, 2019, p.31.
[4]Probabilmente, il narratore non ritiene importante fornire dettagli sulla vita di Lidia, a lui sta a cuore soprattutto mostrare come il Signore agisce attraverso la predicazione dei missionari per la diffusione della sua Parola “fino agli estremi confini”.
[5] Ho estrapolato alcune informazioni sulla storia del nome Giunia dal testo NuriaCalduch-Benages (a cura di), Paolo e le donne, Vita e pensiero, Milano, 2019, p.38.
[6] Cfr. Ivi, p.40.
[7] Non era cosa insolita che Giudei avessero nomi latini, come nel caso di Giunia.