PRIMA LETTURA: 2Cor 4,7-15
Portiamo nel nostro corpo la morte di Gesù.
SALMO: (Sal 125)
Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia.
Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Mt 20,20-28
Gesù aveva parlato del Regno dei cieli e gli apostoli lo hanno interpretato secondo l’ottica del mondo in cui i governanti delle nazioni dominano e i capi opprimono. Il fascino del potere ha sempre esercitato una forte attrazione sul cuore degli uomini e anche su quello dei discepoli di Cristo i quali sono tentati di “mondanizzare” il vangelo invece di evangelizzare il mondo. Le parole della mamma di Giacomo e Giovanni rivelano quanto sia radicata nell’animo umano, anche della gente semplice e povera, l’ambizione di raggiungere posti di comando per avere sudditi sui quali comandare e dai quali ricevere servigi. Fin quando il cuore è pieno della sapienza del mondo non è possibile partecipare alla forma di governo ed esercitare il potere che Gesù propone.
Il calice da bere non sono i sacrifici e le rinunce, né tantomeno la lotta fino all’ultimo sangue, per raggiungere le vette del successo, della fama e della ricchezza, ma è il cammino interiore di purificazione del cuore da ogni forma di cupidigia, avidità e di rinuncia alla logica del potere inteso come gestione delle persone e delle cose per un proprio interesse.
Gesù chiarisce che non sta a lui concedere benefici e privilegi, ma di invitare tutti a seguirlo sulla via della croce attraverso la quale cambiare la prospettiva nella vita. Per poter partecipare alla gloria di Gesù e sedere insieme a lui nel suo regno è necessario seguirlo sulla via del servizio inteso come dono della propria vita. È propriamente questa la vetta della gloria per raggiungere la quale bisogna abbandonare strada facendo le zavorre che appesantiscono il cuore e offuscano la ragione.
Il mondo alimenta le manie di grandezza e falsa le unità di misura perché l’orgoglioso, pur essendo piccolo, vorrebbe ergersi e imporsi da solo sugli altri, mentre l’umile, essendo magnanimo, tende a farsi piccolo per raggiungere anche l’ultimo dei fratelli e amarlo. L’arrampicatore sociale ed ecclesiale non si dà pace se non ha raggiunto la visibilità e gli onori, magari denigrando e squalificando gli altri, mentre il discepolo di Cristo non può dirsi contento se non ha donato il suo tempo, le sue energie, i suoi carismi, le sue competenze e le sue capacità per far sentire ogni persona incontrata amata. I potenti di questo mondo tendono a far sentire gli altri inferiori e dipendenti, i cristiani invece, incontrando i fratelli e le sorelle nel mondo, devono comunicare loro l’amicizia di Dio che detronizza i potenti e innalza gli umili, sazia di beni gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote. Nel regno di Dio se c’è un primato da raggiungere questo è certamente quello del servizio e se c’è una competizione questa deve avvenire nell’ambito della stima e della comunione fraterna.