Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.

PRIMA LETTURA: Ger 17,5-10

Maledetto chi confida nell’uomo; benedetto chi confida nel Signore.

SALMO: (Sal 1)

Beato l’uomo che confida nel Signore.

«In quel tempo, Gesù disse ai farisei:

«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.

Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.

Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.

E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Lc 16,19-31

Oggi ci si presenta la necessità di ascoltare Dio in questa vita, di convertirci in questa vita e approfittare il tempo che Lui ci concede. Dio chiede un rendiconto. In questa vita mettiamo a repentaglio la “vita”.

La parabola ha come soggetto principale un uomo ricco che conduceva una vita comoda e agiata. Un uomo che tutti avrebbero potuto dire fortunato o anche benedetto. Alla sua porta c’era un povero di nome Lazzaro, un misero mendicante, abbandonato da tutti, tranne dai cani che gli leccavano le ferite, che tutti avrebbero definito un uomo sfortunato. La morte accomuna i due uomini che la «sorte», così avrebbe potuto pensare qualcuno, aveva differenziato assegnando a uno i suoi beni e all’altro i suoi mali. Se la storia si fermasse qui sarebbe legittima la domanda: perché esiste l’ingiustizia, per cui c’è chi ha tanto e chi ha nulla, perché la vita è così iniqua che riserva la fortuna ad alcuni e la disgrazia ad altri?

Gesù lascia chiara l’esistenza dell’inferno descrivendo alcune delle sue caratteristiche: la pena che soffrono i sensi –

«intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma». (Lc 16,24) – e la sua eternità – «tra noi e voi è stato fissato un grande abisso» (Lc 16,26) -.

Possiamo pensare: dove saremmo noi, se fossimo uno dei protagonisti della parabola? La nostra società, costantemente, ci ricorda che dobbiamo vivere bene, con comodità e benessere, ricreandoci e senza preoccupazioni. Vivere per sé stessi senza preoccuparsi degli altri o preoccupandosi solo dell’essenziale affinché la coscienza stia tranquilla, però non per un senso di giustizia, amore o solidarietà.

In realtà la storia continua perché la morte ribalta la sorte per cui il povero Lazzaro entra ricco in cielo e il ricco si ritrova in mezzo ai tormenti degli inferi. Lì si ricorda di Lazzaro, che in vita aveva sempre ignorato, e gli chiede aiuto per alleviare le sue sofferenze. La risposta di Abramo rende esplicito il peccato del ricco. L’indifferenza crea un abisso incolmabile, facendo della differenza una distanza abissale. L’uomo ricco più che domandarsi come godere dei beni ricevuti, avrebbe dovuto interrogarsi su come impiegarli per il bene anche degli altri. La vita diventa ingiusta quando è goduta solo per sé stessi.

Se il ricco avesse rinunciato a qualche piacere avrebbe sentito un po’ della fame di Lazzaro e se avesse tolto qualcosa da sé avrebbe accorciato le distanze dal fratello. La morte ristabilisce la giustizia negata dagli uomini. Per cui il povero viene saziato dei beni che gli sono stati rifiutati e il ricco perde la vita che invece ha preteso di godere solo per sé.

Le briciole che cadono dalla tavola del ricco sono l’inutile elemosina di quelle persone che danno agli altri gli scarti, senza lasciarsi ferire dal dolore degli altri.

La carità è il compendio della Parola di Dio e della giustizia. Ascoltarla significa praticare la misericordia, ovvero rendere il cuore misero per fare proprio il dolore del fratello e condividerlo offrendo ciò che si ha e ciò che si è.

Bisogna spogliarsi dell’uomo vecchio ed essere liberi per poter amare il prossimo. Dobbiamo rispondere alla sofferenza dei poveri, dei malati o degli abbandonati. Sarebbe bene che ricordassimo questa parabola con frequenza perché ci faccia più responsabili della nostra vita. A tutti giunge il momento della morte. E dobbiamo essere sempre preparati perché un giorno saremo giudicati.