Chi fa la volontà del Padre mio, entrerà nel regno dei cieli.
PRIMA LETTURA Is 26,1-6
Entri il popolo giusto che mantiene la fedeltà.
SALMO (Sal 117)
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
“ In quel
tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei
cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a
un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia,
strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma
essa non cadde, perché era fondata sulla roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un
uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia,
strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed
essa cadde e la sua rovina fu grande».”
Mt 7,21.24-27
“Non chiunque mi dice: Signore, Signore…” (7,21).
La preghiera è il cuore della vita credente, il segno visibile della fede, la manifestazione di quella ricerca di Dio che deve accompagnare l’intera esistenza. E tuttavia, la preghiera non basta. Gesù avverte i discepoli più devoti, quelli che desiderano incontrare Dio solo all’interno delle chiese, che l’autentica preghiera si fa carne, plasma pensieri e azioni, dona alla vita l’impronta di Dio.
Questo ammonimento viene confermato nella parabola che chiude tutto il lungo discorso della montagna (5,1 – 7,29): tra l’uomo che costruisce sulla roccia e quello che edifica sulla sabbia c’è una sostanziale differenza: il primo ascolta e s’impegna a tradurre l’insegnamento in scelte concrete; il secondo ascolta e … dimentica. Gesù non dice che il discepolo rifiuta, si limita a registrare la noncuranza, segno che non ha preso sul serio la Parola, non è disposto a dare credito a Dio, preferisce seguire le sue ragioni. L’ascolto diventa così una bella e comoda parentesi. È come ricevere la luce e subito dopo… spegnerla.
Quante volte la preghiera resta solo un’esperienza di natura emozionale, sazia il cuore ma non accende desideri di bene e non allarga l’orizzonte della vita. È una preghiera da salotto, una sorta di rifugio consolatorio.
Pregare non significa sentirsi bene ma ricevere una Parola che c’impegna a fare il bene, anzi a diventare una benedizione per l’umanità. Siamo chiamati a scrivere pagine di luce che fanno risplendere il Vangelo. Abbiamo bisogno di stare continuamente davanti a Dio per ricevere la luce ma se manca la decisa volontà di mettere in pratica la Parola, la preghiera non solo è vuota ma rischia di diventare un comodo alibi. Abbiamo l’impressione di avere risposto alla chiamata, in realtà continuiamo ad accendere il nostro incenso presso altri altari.
Il tempo di avvento ci chiede di attuare una più rigorosa verifica per individuare e allontanare quelle incoerenze piccole e grandi che ancora sono presenti nella nostra vita.