Questa figlia di Abramo non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?

PRIMA LETTURA: Ef 4,32 – 5,8

Camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato.

SALMO: (Sal 1) 

Facciamoci imitatori di Dio, quali figli carissimi.
Oppure:
Beato chi cammina nella legge del Signore.

«In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato.
C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta.
Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia».
Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.
 
Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato».
Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?».
 
Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute».

Lc 13,10-17

“Stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato” (13,10).

Inizia così il racconto evangelico. Un sabato qualunque, una predica come tante altre. La gente ascolta con attenzione ma forse nulla attende. Ed ecco l’imprevedibile:

“C’era là una donna […] era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta” (13,11).

La gente è abituata a quella donna, la guarda con compassione e con rassegnazione. Nessuno chiede al rabbì di Nazareth d’intervenire e neppure la donna. Nessuno pensa che sia possibile cambiare il destino. Gesù invece decide di intervenire. Si rivolge alla donna e le chiede di avvicinarsi, premessa indispensabile per imporre le mani e proclamare l’annuncio della gioia:

“Donna sei liberata dalla tua malattia” (13,12).

La prima parola è quella di Gesù, ma il primo passo lo compie l’inferma. Dio è sempre all’opera ma non sempre incontra la nostra collaborazione. Tutto questo avviene nella cornice solenne e sacra dello Shabbat. Per gli ebrei è il settimo giorno, quello in cui è possibile gustare la pienezza che Dio ha promesso. E invece quella povera donna sperimenta tutti i limiti che derivano dall’infermità, che da diciotto anni la tiene prigioniera (13,16): una situazione che si prolunga da troppo tempo ed ha ormai tolto ogni speranza.

Quella donna è icona dell’umanità che non attende più nulla perché non sa come spezzare le catene del male. Quel giorno arriva la liberazione. Arriva quando nessuno più ci spera e tutto sembra compromesso. Arriva nel giorno settimo della storia, quello della resurrezione di Gesù Cristo dai morti.

Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, proclamiamo nel Credo. Arriva quando Dio visita la nostra vita, quando il Signore risorto entra nella nostra casa, quando la sua Parola risuona con la potenza creatrice di Dio. Questa storia, ferita e redenta, cammina verso la Pasqua eterna:

“E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine”.

È questa certezza che ci fa restare saldi anche nelle vicende più drammatiche. È questa la fede che anche oggi, umilmente chiediamo.