Chi è il mio prossimo?
PRIMA LETTURA: Gio 1,1 – 2,1.11
Giona invece si mise in cammino per fuggire lontano dal Signore.
SALMO: (Gn 2,3-5.8)
Signore, hai fatto risalire dalla fossa la mia vita.
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
Lc 10,25-37
Il pericolo più grande che può correre l’uomo è di anteporre le regole alla vita. A maggior ragione per un cristiano che fa della sua vita una missione d’amore. Il dottore della Legge è il classico “esperto” che presume di avere una risposta per ogni domanda e non si mette in sincera ricerca della volontà di Dio né predispone il suo cuore ad ascoltare l’A/altro. Lo dimostra il fatto che non interroga Gesù per conoscerlo meglio ed entrare in una relazione più intima con lui, ma per metterlo in difficoltà e tendergli un tranello. S. Paolo ricorda che la scienza, ovvero la conoscenza fine a sé stessa, gonfia di orgoglio mentre la carità edifica (1Cor 8,2). Si percepisce la diffidenza che pervade la mente del dottore della Legge e il suo pregiudizio nei confronti di Gesù. La presunzione opera un’indebita scissione tra fede e vita, tra il Dio in cui si crede, anche senza vederlo, e il fratello che si vede senza amarlo.
La fede è campata in aria, quindi senza radici, se non si traduce in carità fraterna che nasce solo da un cuore che rinuncia a giudicare e in cui c’è solamente posto per la misericordia. Il dottore della Legge è l’immagine di chi è convinto che la giustizia consista nell’applicare le regole senza guardare in faccia nessuno. In realtà, la parabola ci suggerisce la necessità assoluta di cercare il volto del fratello per trovare quello di Dio. Egli, infatti, cerca sempre il confronto, il dialogo con noi; per questo si fa prossimo e ci parla “bocca a bocca”, “cuore a cuore”. Contrariamente ai funzionari del sacro che si limitano a guardare a distanza e a continuare il loro cammino come se niente fosse, il Samaritano, nel quale Gesù si identifica, si avvicina non per curiosità ma per compassione.
Non cerca di sapere cosa sta accadendo e perché è accaduto ma di comprendere come sta quella persona e come può aiutarla. La compassione ha veramente una forza rivoluzionaria che sconvolge innanzitutto il cuore di chi ne è posseduto. Chi ama si pone difronte al tu, instaura un contatto visivo che poi pian piano coinvolge tutto l’essere, mente, anima e corpo. Tra le righe appare chiaro l’invito di Gesù a cambiare prospettiva. Prima di domandarsi cosa è giusto fare bisogna interrogarsi: come Dio si sta facendo prossimo a me? Cosa mi sta dicendo e sta facendo per me?
Ciascuno di noi è quell’uomo nella cui disgrazia riconosciamo le nostre cadute, le nostre ferite, i nostri fallimenti, le nostre delusioni. Solo assumendo il punto di vista del malcapitato posso riconoscere che la mia vita, sebbene segnata da tante prove, è anche oggetto di cura e di attenzione di persone nel cui volto posso intravedere i lineamenti di quello di Dio. L’uomo ferito non è solo debitore di riconoscenza al Samaritano ma anche all’albergatore che ha continuato a curarlo durante la sua assenza. La via della felicità passa attraverso quelle ferite che ci lasciamo guarire dalla misericordia di Dio e dalle opere di Carità della Chiesa.
Le ferite di noi uomini peccatori sono diventate anche quelle di Dio, benché innocente. Esse sono come lettere dell’alfabeto con le quali la Legge della Carità viene scritta nel nostro cuore.