All’istante quell’uomo guarì.
PRIMA LETTURA: Ez 47,1-9.12
Vidi l’acqua che usciva dal tempio, e a quanti giungerà quest’acqua porterà salvezza.
SALMO: (SAL 45)
io è per noi rifugio e fortezza.
Oppure:
Con la tua presenza salvaci, Signore.
«Ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a
Gerusalemme. A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina,
chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un
grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici.
Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere
e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose
il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua
si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù
gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». E all’istante quell’uomo
guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare.
Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo che era
stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella».
Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi la tua
barella e cammina”». Gli domandarono allora: «Chi è l’uomo che ti ha
detto: “Prendi e cammina?”». Ma colui che era stato guarito non
sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in
quel luogo.
Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare
più, perché non ti accada qualcosa di peggio». Quell’uomo se ne andò e riferì
ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i
Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato.»
Gv 5,1-16
“Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita” (5,7).
Alla malattia che impedisce al corpo di muoversi si aggiunge la solitudine che rende ancora più gravosa la patologia. Le parole del paralitico purtroppo descrivono una condizione anche oggi molto presente.
È triste essere o sentirsi soli, soprattutto quando la vita assume la forma di una improvvisa e ripida salita. È triste sentirsi soli quando le persone più care sono o appaiono distanti. Ancora più triste è percepire di essere diventato un peso per gli altri. La sensazione di solitudine e la mancanza di condivisione rappresentano un grave e diffuso deficit sociale.
Il Vangelo annuncia che un’altra storia è possibile. Il paralitico sembra destinato a vivere nella più totale emarginazione, dimenticato da tutti. Le sue speranze vengono puntualmente tradite.
Nessuno si prende di cura di lui. E invece, quando meno se l’aspetta, nella sua vita appare un Uomo che gli tende la mano e lo libera dalla sua infermità. È Gesù di Nazaret.
Lui solo può guarirci e donare una vita nuova, non solo la salute del corpo ma anche la capacità di scrivere pagine nuove di comunione e condivisione. La solitudine dovrebbe essere bandita dalla società. Nessun uomo deve essere costretto a dire: “Non ho nessuno che mi aiuta!”.
Dio si è fatto uomo per condividere la nostra storia, Gesù ha scelto di restare in mezzo a noi e, attraverso la Chiesa, continua ad essere la mano tesa di Dio per ogni uomo. La Chiesa è il segno visibile della provvidenza di Dio che non abbandona nessuno.
La comunità di Gerusalemme aveva accolto questa sfida: “Nessuno tra loro era bisognoso”, leggiamo negli Atti degli Apostoli (4,34). Anche in quella comunità c’erano difficoltà e problemi ma nessuno doveva affrontarli da solo. La comunità s’impegnava ad accompagnare tutti e ciascuno nel cammino spesso difficile e penoso dell’esistenza. Oggi chiediamo la grazia di non fare della fede una comoda consolazione ma una fonte di speranza e un annuncio di quell’umana condivisione che troverà perfetto compimento nell’eterna beatitudine.