È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato.
PRIMA LETTURA: Col 1,1-8
La parola di verità è giunta a voi, come in tutto il mondo.
SALMO: (Sal 51)
Confido nella fedeltà di Dio, in eterno e per sempre.
Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo.
Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato».
E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea».
Lc 4,38-44
Oggi, ci troviamo di fronte a una chiara controversia: la gente che cerca Gesù e Colui che cura tutte le “malattie” (cominciando dalla suocera di Simon Pietro); e allo stesso tempo «Da molti uscivano demoni gridando» (Lc 4,41). Come dire: pace e bene da una parte; malignità e disperazione dall’altra.
Non è la prima volta che appare il diavolo “uscendo”, per meglio dire, scappando dalla presenza di Dio, tra grida e esclamazioni. Ricordiamoci anche dell’indemoniato di Gerasa (cf. Lc 8,26-39). Sorprende che sia il proprio diavolo che “riconoscendo” a Gesù, come nel caso di Gerasa, sia lui stesso ad andargli incontro (certamente con rabbia e irritato perché la presenza di Dio perturbava la sua vergognosa tranquillità).
Parlando di evangelizzazione dovremmo sempre tornare a meditare pagine come queste nelle quali è tracciato il profilo del messaggero che reca la buona notizia del Regno di Dio. La predicazione di Gesù non prescinde dall’incontro con gli uomini feriti dal peccato, incattiviti dalla rabbia, indeboliti dalle delusioni.
Ad essi Gesù è inviato dal Padre per far risuonare la parola del Vangelo e far risplendere la potenza dello Spirito che libera, sana, consola e salva. Per incontrare l’uomo bisogna innanzitutto ascoltare e lasciarsi condurre dalla voce del povero, anteponendo ai propri progetti il bisogno dell’altro. Mettersi a servizio non significa offrire una proposta di prestazione, ma chinarsi sulla realtà assumendo lo sguardo e i sentimenti di Dio che, come fa un padre con il suo bambino, si china verso i più piccoli per dar loro da mangiare (cf. Os 11).
Non di meno, oltre l’ascolto e l’andare verso l’altro, è necessario aprirsi agli altri e accoglierli con cordialità e semplicità. Tante volte, presi dall’ansia della prestazione, perdiamo di vista lo stile con il quale relazionarci. La tenerezza con la quale Gesù si china sull’anziana suocera di Simone e la delicatezza del tocco della mano con cui entra in contatto con gli intoccabili, suggeriscono il fatto che l’annuncio del Vangelo non può prescindere da uno stile di prossimità caratterizzato dalla compassione.
Essa non è in alcun modo sinonimo di debolezza caratteriale e lo dimostra il fatto che Gesù coniuga tenerezza e determinazione sia nel fronteggiare il nemico che si nasconde dietro le mentite spoglie di un pio discepolo, sia anche nel respingere le avances di coloro che vorrebbero trattenerlo per godere del suo potere taumaturgico. Gesù si sottrae alle lusinghe e alle richieste dalla gente non perché rinnega la propria responsabilità ma perché vuole responsabilizzarla e renderla protagonista del proprio riscatto.
Dove giunge il Vangelo la vita rinasce ma questo dono va coltivato perché impariamo da Gesù come vivere in questo mondo e renderlo con la carità migliore di come lo abbiamo trovato.