Erano come pecore che non hanno pastore.

PRIMA LETTURA: Eb 13,15-17.20-21

Il Dio della pace, che ha ricondotto dai morti il Pastore grande delle pecore vi renda perfetti in ogni bene

SALMO (SAL 22)

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

“In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. 
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. 
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.”

Mc 6,30-34

Il vangelo di oggi è la continuazione di quello di giovedì scorso.

Giovedì Gesù ha mandato in missione gli apostoli, a due a due, oggi gli apostoli ritornano e riferiscono a Gesù tutto quello che hanno fatto e ciò che è successo. Gesù è all’inizio e al termine del loro viaggio. Da lui sono partiti e a lui ritornano. Ma perché tornano da Gesù? 

Innanzitutto per fare una verifica, per vedere se ciò che hanno vissuto è proprio ciò che si voleva raggiungere con la missione, se avevano interpretato bene il mandato di Gesù. Riunirsi attorno al Maestro in persona e fare revisione di vita con lui. Raccontargli tutto ciò che si è fatto e sentirsi al centro della sua attenzione. Sentirsi capiti, incoraggiati, spronati.  La verifica non serve per darsi un giudizio, ma per vedere se ciò che si vive è proprio ciò che si vuole, è ciò che fa bene per noi, se si può migliorare, se si può agire diversamente.  

Tutti noi, di tanto in tanto dovremmo fermarci e guardarci dentro, fare verità di noi stessi, chiederci: “Mi va bene la vita che sto vivendo? Sono felice? Sono soddisfatto? Mi sento in evoluzione? Ho sbagliato? Sono fuori strada? Posso fare diversamente?” Certo non è sempre bello farsi queste domande e non è sempre piacevole, perché a volte si scoprono cose che non si vorrebbero scoprire o vedere.

Un secondo motivo per cui tornano da Gesù è per condividere.

Il condividere con Gesù accresce l’unione fra gli apostoli e il loro maestro. L’unione tra due persone nasce dal raccontarsi, dall’aprire il cuore all’altro. L’unità nasce dall’intimità, dal potersi dare, raccontare, accogliere, dal poter entrare l’uno nel cuore dell’altro. Condividere è quando riusciamo ad esprimere i nostri sentimenti, i nostri vissuti, ciò che ci ha emozionato, ci ha fatti sentire alle stelle o sotto terra, ciò che ci ha fatto arrabbiare o deluso o che ci ha fatto male. Facile a dirsi, più difficile a farsi! Perché condividere significa anche esporsi, mostrarsi per quello che si è all’altro, con i propri limiti, con le proprie debolezze e questo ci fa sentire più vulnerabili. Allora può succedere di parlare tanto ma condividere poco o di parlare degli altri per non parlare di sé.

In ultimo gli apostoli tornano da Gesù per esprimere la loro gioia e i loro successi.

Erano entusiasti, raggianti. Cerchiamo ad immaginare come dovevano sentirsi gli apostoli avendo sperimentato che anche loro potevano compiere i prodigi che faceva Gesù. Sicuramente erano stanchi ma al settimo cielo per il successo che aveva riscosso la loro missione. Non solo: attorno a loro si radunava molta gente, tanta da non avere il tempo neanche di mangiare. Tutto questo doveva essere esaltante; il successo può apparire loro come la benedizione di Dio sulla missione.

Ma di fronte a tutto questo Gesù cosa dice?

“Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto e riposatevi un po’”

È una risposta sconcertante secondo la nostra logica dell’efficientismo, del dover sempre a tutti i costi dimostrare di valere! Conosciamo il detto “ il ferro si batte finché è caldo” come dire: quando le cose vanno bene allora bisogna insistere per ottenere il massimo dei benefici. Ma Gesù, invece di ributtare i suoi, subito, dentro i campi sterminati della missione che urge, li conduce nel deserto. Quasi a perdere tempo! Li invita a riposarsi, a non lasciarsi prendere dall’attivismo, dall’onnipotenza, dal credere che senza di loro il mondo non andrà avanti.

Se si guarda alle esigenze del mondo, a ciò che si dovrebbe fare, ai problemi, alla gente che soffre, a chi sta male, allora ci prende un grande scoraggiamento. Perché c’è troppo da fare, c’è troppo da lavorare, da sistemare, da riordinare. Il rischio, allora, come gli apostoli, è quello di disperdersi, di sfinirsi per gli altri, di non avere più tempo per sé, tempo per pregare, per mangiare, per ricaricarsi. A volte si è veramente lacerati: ci sono mille cose da fare.

A volte siamo così subissati di cose da fare che non vediamo l’ora che arrivi la sera per andare a letto perché in certe giornate siamo così tanto distrutti che ci sembra di essere risucchiati. Allora bisogna fare come Gesù ha fatto con gli apostoli: fermarsi, dedicarsi del tempo per ritrovare l’essenziale, il senso, il centro della nostra vita. Ci ha colpiti il fatto che Gesù non dice “andate in disparte” ma “venite in disparte”,

Il Signore ci propone di andare in disparte con lui, a riposare un po’, di guardarlo negli occhi, di fidarci di lui. Stare con Lui è il primo lavoro di ogni inviato. Solo dopo aver accolto la sua persona prima ancora che il suo messaggio, solo dopo quel contagio di luce, li manderà a predicare. Il Signore ci invita a riposarci, ad andarcene in disparte certo, ma con Lui, per ritrovare l’armonia tra il corpo e lo spirito che la frenesia del lavoro spesso interrompe.

E solo dopo ritornare nella folla, nella porzione di mondo che ci è affidata, portando l’esperienza dell’incontro con Cristo. Abbiamo cercato di individuare quali sono questi momenti di deserto nella nostra vita.

L’incontro con il Signore è come una luce che illumina il tempo di ieri, per comprenderlo, per tracciarne il percorso. Si tratta di ascoltare il Signore, di far scendere nel proprio cuore le parole della Scrittura che sono come un respiro più grande dentro il quale far riposare la mente; sono una boccata d’aria pura di cui tutti abbiamo bisogno per pensare meglio, per sentire in modo più generoso, per recuperare le forze. Lo stare “in disparte” non significa una fuga, semmai un momento per irrobustire la comunione e la compassione.

“…. egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro…” 

Ecco il tratto più ricorrente e rilevante degli atteggiamenti di Gesù: la compassione! Il Signore guarda la folla e prova compassione, si commuove, cioè vive e sente gli stessi sentimenti le stesse angosce, gli stessi bisogni, le stesse speranze dell’uomo di cui incrocia lo sguardo. “Commuoversi” traduce un verbo tipicamente femminile che letteralmente si dovrebbe rendere con “ sentirsi smuovere il grembo”: come la mamma quando vede il suo bambino, soprattutto nei momenti di maggiore tenerezza, si sente smuovere le viscere dalla commozione, così è Dio, così è fatto Gesù.

Lui ci vede e sa quello che c’è nel nostro cuore, anche quello che noi non riusciamo a leggere dentro di noi. Non è insensibile al nostro grido di aiuto, si prende cura di noi perché ha grande compassione per ognuno di noi. Gesù guarda sempre con gli occhi del cuore.

Dato che Gesù si è commosso nel vedere tutta quella gente bisognosa di guida e di aiuto, ci saremmo aspettati che si fosse messo ad operare qualche miracolo. Invece l’evangelista sottolinea che Gesù “si mise ad insegnare loro molte cose” . Sceso dalla barca, Gesù è preso fra due commozioni contrapposte, fra due oggetti d’amore: la stanchezza degli amici e lo smarrimento della folla. E in questo conflitto egli insegna agli apostoli e a noi l’arte più difficile: lasciarsi commuovere, incontrare il volto, la persona. Noi accampiamo sempre qualche scusa, abbiamo sempre un impegno, un programma che ci impediscono di dedicare tempo all’altro, che bloccano il miracolo, sempre una scusa per non commuoverci. E Gesù invece si commosse per loro. La commozione è la risposta che ti porta fuori di te, che ti fa muovere insieme all’altro (con – muovere), che diventa motore delle tue azioni. E quando ti commuovi, non puoi fare a meno di stare con l’altro, esserci per l’altro, il mondo si innesta nella tua anima.

Gesù era partito con un programma, un tempo di riposo insieme con gli amici. Ora è pronto a modificarlo perché viene prima la pecora perduta. Da Gesù impariamo a modificare i programmi quando lo esige il dolore altrui, quando lo esige la povertà o la fame di pietà e di amore degli altri. Gesù ci dice: prenditi del tempo. E subito dopo aggiunge: il tempo non è tuo. La prima è una cosa buona, la seconda è ancora migliore. La vita è fatta di incontri. Cerchiamo di non sprecare gli incontri con le persone!

I discepoli partiti per restare in disparte imparano ad essere a disposizione di tutti, imparano che l’amore non va in disparte, non va in vacanza, non riposa, non ha tregua, finché c’è folla che tende le mani, che invoca pane e pace. Noi forse non saremo capaci di moltiplicare il pane, ma con Dio saremo capaci di moltiplicare il cuore e con esso misericordia, pace e compassione. Così saremo pastori, consapevoli che non siamo indispensabili, che non salviamo nessuno, sapendo bene che ciò che possiamo fare è solo una goccia nell’oceano, ma è questa goccia che dà profondità e significato a tutta la nostra vita.