Il pubblicano tornò a casa sua giustificato, a differenza del fariseo.
Voglio l’amore e non il sacrificio.
SALMO: (Sal 50)
Voglio l’amore e non il sacrificio.
Oppure:
Tu gradisci, o Dio, gli umili di cuore.
«In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Lc 18,9-14
Oggi, Gesù ci presenta due uomini che, di fronte ad un “osservatore” occasionale, potrebbero sembrare quasi identici, giacché essi si trovano allo stesso posto, svolgendo la stessa attività: entrambi «salirono al tempio a pregare» (Lc 18,10). Ma oltre le apparenze, nel profondo delle loro coscienze personali, i due uomini sono radicalmente differenti: l’uno, il fariseo, ha la coscienza tranquilla, mentre l’altro, il pubblicano -esattore delle tasse- si trova inquieto a causa dei suoi sentimenti di colpa.
Non esiste alcun peccato che Dio non possa perdonare, non esiste alcuno che possa restare escluso dalla sua misericordia; neanche il peggiore tra i pubblicani, uomo tra i più disprezzati al tempo di Gesù. Neanche noi, oggi, così come siamo, con i peccati che ci affliggono e dai quali non riusciamo proprio a liberarci. Occorre però avere l’atteggiamento del pubblicano, ovvero riconoscersi peccatore e indegno di rivolgersi a Dio, evitando di presentarsi al Signore con l’atteggiamento di chi va ad incassare un credito o a ottenere una grazia come contraccambio di meriti guadagnati con le proprie opere.
Ai nostri giorni siamo propensi a considerare i sentimenti di colpa –il rimorso- come un qualcosa che si avvicina ad una aberrazione psicologica. Tuttavia la coscienza di colpa consente al pubblicano di uscire dal Tempio, con l’animo sollevato, giacché «questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato» (Lc 18,14) mentre l’altro no. «Il senso di colpa», ha scritto Benedetto XVI, quando Egli era ancora Cardinale Ratzinger (“Coscienza e verità”), rimuove la falsa tranquillità di coscienza e può essere chiamato, contraria alla mia “protesta della coscienza” contro la mia esistenza auto-compiacente. È tanto necessario all’uomo, come il dolore fisico che indica un’alterazione corporale delle funzioni normali».
Gesù non vuole indurci a pensare che il fariseo non stia dicendo la verità quando afferma di non essere avido, ingiusto, ne adultero, che digiuna e offre soldi al Tempio (cf. Lc 18,11); ma neppure che l’esattore delle tasse stia delirando al considerarsi peccatore.
E così, proprio il Tempio dove incontrare Dio era diventato la passerella dell’ipocrisia. Come spesso è la nostra vita, che diviene un’autocelebrazione non-stop. Voler essere cristiani ma allo stesso tempo preoccuparsi di piacere al mondo, di non rischiare niente della nostra reputazione a causa della fedeltà a Cristo, preoccuparsi prima del consenso e del quieto vivere che della coerenza al Vangelo, come per il fariseo, ci impedisce di tornare a casa giustificati. È quello che accade a “chi presume di essere giusto e disprezza gli altri”.
Non è questo il caso. Succede, invece che «il fariseo, anche lui, ha colpa. Egli ha la coscienza completamente chiara. Ma il “silenzio della coscienza” lo rende impenetrabile davanti a Dio e d’innanzi agli uomini, mentre il “grido della coscienza” inquieta il pubblicano e lo rende capace della verità e dell’amore. «Gesù può riscuotere i peccatori!» (Benedetto XVI).