Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto.
PRIMA LETTURA: Eb 13,1-8
Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre.
SALMO: (Sal 26)
Il Signore è mia luce e mia salvezza.
Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello».
Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto.
E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro».
Mc 6,14-29
Da un punto di vista narrativo, i personaggi di questa storia del Vangelo sono abbozzati, quasi statici. Eppure, magari con un po’ di meditazione contemplativa, si può ricostruire qualche dettaglio in più.
Innanzitutto, Giovanni. Giovanni che ha deciso di essere voce nel deserto, di gridare ciò che è giusto anche a costo della vita. Non deve essere stato facile, da essere umano, vincere la paura della morte e decidere di ascoltare solo la voce che gli diceva di andare avanti, di non temere le conseguenze perché la ricompensa sarebbe stata grande.
Poi Erodiade e sua figlia. Una figlia che danza, agisce, ma non desidera nulla se non quello che le dice la madre, la voce della sua coscienza è assente, delegata a una madre che odia, che teme per la sua posizione e segue la voce della paura, che vuole eliminare tutti gli ostacoli davanti a sé per stare al sicuro, per mantenere il controllo e il suo potere.
E infine, il dramma di Erode: è perplesso, teme Giovanni e ne è affascinato, il suo cuore si dibatte tra la paura di qualcosa che potrebbe ribaltare la sua vita e la gioia di ascoltare una voce diversa, più autentica. E, ancora, la voglia di fare un dono generoso e la paura di sfigurare di fronte ai commensali. Tra queste voci interiori che lo sballottano, quella che gli dice di ascoltare Giovanni è quella che lo fa stare bene, e quando la tradisce quindi diventa triste.
Ecco che anche noi allora possiamo esaminare le voci che ci dividono, immaginare dove ci porterebbe seguire quella che alimenta la paura e dove quella che parla di gioia.
I prodigi compiuti da Gesù gli fanno guadagnare una fama tale che non si ferma tra il popolo ma raggiunge anche i palazzi del potere. Si moltiplicano le interpretazioni sulla identità reale del Nazareno ed Erode è convinto che lo spirito del Battista si sia incarnato in qualche modo in Gesù. Giovanni Battista incalza più da morto che da vivo. È il senso di colpa che grida dal fondo della sua coscienza che fa parlare Erode in quel modo. La coscienza è come la sala di regia. Da essa dipende la gestione delle nostre scelte. Spetta a noi decidere a chi affidare il comando della nostra coscienza, alla paura o alla fiducia.
Erode è ossessionato da ciò che è avvenuto nel giorno in cui prima di farla perdere a Giovanni l’ha perduta lui la testa lasciandosi prendere dall’orgoglio prima e poi dalla paura. Può capitare a noi ciò che è accaduto ad Erode. La vicenda rivela che nessuno è il male assoluto e che in ciascuno, accanto alla tendenza al male c’è anche quella verso il bene. Erode, benché fosse oggetto di duri attacchi da parte del Battista a causa della sua condotta morale peccaminosa, faceva di tutto per proteggerlo dalle intenzioni omicide di sua moglie e lo ascoltava. Quello che Erode pensava fosse il suo punto di forza si rivela invece il suo punto debole.
Egli che voleva difendere Giovanni non riesce a proteggere sé stesso. La troppa sicurezza di sé lo porta ad essere maggiormente vulnerabile e ricattabile. Ed è quello che accade nel giorno in cui pur di non perdere la faccia acconsente a far perdere la vita ad innocente. Il vero dramma è l’essere giudici implacabili di noi stessi. La coscienza guidata dalla paura ci condanna al rimorso. La mente si popola di fantasmi quanti sono i sensi di colpa che si moltiplicano facendo della vita un inferno insopportabile.
Eppure una soluzione c’è: convertirsi alla misericordia. I discepoli di Giovanni diedero una sepoltura al suo corpo. Avere misericordia verso sé stessi significa affidare alla terra le proprie miserie, mettersi a nudo per lasciarsi riconciliare. In fondo il perdono è il dono più bello che ci può essere fatto nella vita. Questa è la verità che il cuore di ciascuno cerca ma che quello di Erode ha lasciato cadere nel vuoto.