Gesù distribuì i pani a quelli che erano seduti, quanto ne volevano.

PRIMA LETTURA: At 5,34-42

Gli apostoli se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù.

SALMO: (Sal 26)

Una cosa ho chiesto al Signore: abitare nella sua casa.

Oppure:

Alleluia, alleluia, alleluia.

«In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.

Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».

Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.

Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.

Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo».

Gv 6,1-15

Oggi, leggiamo il Vangelo della moltiplicazione dei pani: «Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero» (Gv 6,11). La preoccupazione degli Apostoli di fronte a tanta gente affamata, ci fa pensare in una moltitudine attuale, non affamata, ma peggio ancora: lontana da Dio, con un “anoressia spirituale”, che impedisce loro di partecipare della Pasqua e di conoscere Gesù. Non sappiamo come arrivare a tanta gente… Aleggia nella lettura di oggi un messaggio di speranza: non importa la mancanza di mezzi, ma sì le risorse soprannaturali; cerchiamo di non essere “realisti”, ma “fiduciosi” in Dio. Così, quando Gesù domanda a Filippo dove potevano comprare pane per tutti, in realtà «diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare» (Gv 6,5-6). Il Signore spera che abbiamo fiducia in Lui.

Una grande folla segue Gesù perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Al contrario di quello che era accaduto durante il cammino dell’esodo nel deserto, dove gli Israeliti avevano mormorato contro Dio per la mancanza di cibo, qui la folla silenziosa va da Gesù e lui comprende il suo bisogno di pane. Dio ascolta il nostro grido di aiuto anche quando il dolore è taciuto. La speranza di vita è sepolta a volte sotto un cumulo di preoccupazioni.

Nel cuore risiede la fame di amore la cui voce è sovrastata da quella di altri bisogni che, anche se soddisfatti, comunque non saziano veramente. È dunque l’amore che ci sazia di gioia! Raminghi tra le varie esperienze di vita alla ricerca di pace e di libertà, si giunge finalmente da Gesù il quale interpreta non la «pancia» ma il «cuore» della gente. Molte volte non si è mossi dalla speranza ma dalla disperazione, si è spinti dalla «pancia» e non dal «cuore». I discepoli sono debitori a Gesù di questo grande insegnamento. Alzare gli occhi significa vedere in chi mi viene incontro il fratello e la sorella nei quali la speranza, nascosta persino ai loro occhi, orienta il loro bisogno.

La necessità interpella e non lascia indifferenti, ma prima di dare risposte e offrire soluzioni è necessario porsi delle domande che da una parte aiutano a vedere la realtà come la vede Dio, dall’altra prepara a reggergli il gioco, cioè a collaborare con la sua opera. Gesù, interrogando Filippo, vuole insegnarci che la felicità non è in commercio e l’apostolo ammette che, per quanto si possa disporre di molti beni, essi non riescono a saziare la fame di amore. La soluzione del problema non dipende dal potere d’acquisto ma inizia dal riconoscere ciò che si possiede già. Per quanto poveri si possa essere si ha sempre qualcosa.

Non importa se è poco o è molto ma decisiva è la scelta se trattenerlo per sé o condividerlo. I cinque pani d’orzo e i due pesci sono poco in raffronto alla moltitudine, ma sono tutto quello che è possibile dare per il ragazzo segnalato da Andrea. La speranza diventa realtà non grazie all’azione degli uomini, ma in virtù dell’opera di Dio. I discepoli hanno il compito di accogliere la folla e, facendola sedere, indicare che quello è il luogo nel quale fermarsi e riposare.

La Chiesa trova nell’immagine del luogo in cui c’è molta erba l’ispirazione della sua missione. Gesù vuole che nella Chiesa chi è in cammino, spinto dal bisogno, possa trovare sorelle e fratelli che lo introducono nell’incontro con Lui, il solo che può dare compimento alla vera speranza. Gesù non trasforma il nulla in qualcosa, ma prende nelle sue mani il poco e il possibile che l’uomo gli mette a disposizione e ne fa il necessario per tutti.