Tu sei il Cristo… Il Figlio dell’uomo deve molto soffrire.

PRIMA LETTURA: Is 50,5-9a

Ho presentato il mio dorso ai flagellatori.

SALMO: (Sal 114)

Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi.

SECONDA LETTURA: Gc 2,14-18

La fede se non è seguita dalle opere in se stessa è morta.

«In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».

Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.

E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.

Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».

Mc 8,27-35

La parola di Dio di questa ventiquattresima domenica del tempo ordinario ci introduce nel mistero della Croce di Cristo. La vicinanza anche della festa dell’Esaltazione della Croce, che si celebra ogni anno il 14 di settembre e la memoria della Vergine Santissima Addolorata, il 15 settembre, ci aiutano a capire meglio la parola di Dio di questo giorno e di contestualizzarla al momento presente.

Partiamo dal Vangelo di Marco che racconta del trasferimento di Gesù da Cesarea di Filippo. Nel corso di questo trasferimento, lungo il cammino, diventa occasione per Gesù di fare un’indagine per sapere dalla voce degli apostoli cosa pensasse la gente di Lui. Infatti pone a loro questa esplicita domanda, apparentemente banale e di poco conto, ma in realtà molto importante per capire esattamente quale idea si era fatta la gente comune appunto di Gesù. E chi di immediato impatto: la gente chi dice che io sia. Si tratta di un vero e proprio sondaggio di opinione fatto a coloro che erano bene informati. Da questa richiesta da parte del maestro, cosa rispondono gli apostoli in base alle loro conoscenze e secondo quello che avevano sentito dire circa Gesù. Lo informano dicendo che alcuni sostengono che sia Giovanni Battista, altri affermano che sia Elia o uno degli antichi profeti di Israele.

In poche parole, nessuno aveva ancora capito veramente chi fosse Gesù. Egli preso atto di questa non conoscenza da parte della gente, Gesù, a questo punto, si rivolge direttamente agli apostoli, a quelli che stanno vicino a lui e quindi avrebbero dovuto conoscere benissimo chi era il Gesù Cristo. Pone quindi questa domanda, questo interrogativo diretto: ma voi chi dite che io sia.

In questo caso, come in altre circostanze, è Pietro che prende la parola e risponde alla domanda di Gesù, professando la sua fede in Lui: Tu sei il Cristo. Sappiamo questa espressione viene classificata come la celebre professione di fede di Filippi di Cesarea da parte di Pietro. Gesù prende atto di questa piena conoscenza da parte del capo degli apostoli della vera identità di Cristo, egli di rimando raccomanda di non dire a nessuno quello che pensano e che avevano espresso con il cuore, la parola e l’atteggiamento di riverenza. Quella affermazione diventa la base di partenza da parte di Gesù per insegnare agli apostoli che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto e a far riferimento in questo caso all’ imminente passione e morte in croce. Ed aggiunge pure il perché questo avverrà. Egli dovrà soffrire molto perché sarà rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi. E saranno proprio loro a mandarlo alla morte, a farlo uccidere. Ma Gesù non si limita solo ad annunciare la sua passione e morte in croce, ma anche quella della sua risurrezione, come effettivamente avverrà. Infatti dice dopo tre giorni egli, il Figlio di Dio sarebbe risorto.

L’evangelista Marco molto attento ad ogni sfumatura ci dice nel brano del vangelo che mentre Gesù faceva questo discorso, Pietro lo prese in disparte, in quanto aveva capito che Gesù sarebbe stato ucciso, e lo riproverò aspramente perché non doveva pensare e dire quelle cose così dure e difficili da accettare. Il dolore, la croce e la morte fa paura a tutti, A questo punto cosa fa Gesù? Invece di allontanarsi e scappare via da lui e si gira dietro e rivolgendosi agli apostoli, rimproverò severamente Pietro dicendo queste parole dure: va dietro a me Satana, perché ragioni al modo umano e non divino. Gesù usa questa espressione per farci capire che chi pensa alla sofferenza come punizione di Dio, è vero satana nel pensiero e nella vita. La morte, il donarsi per gli altri non è una sconfitta, non è una delusione, non è una battaglia persa in partenza, ma una vera vittoria per coloro che pensano secondo Dio e non secondo gli uomini. Il mistero della croce di Cristo, come pure la sua morte ha un valore infinito perché con essa ci redime dalla condizione di peccato per donarci la sua grazia. La croce ha un valore di redenzione. Senza parole e discorsi difficili da capire, Gesù si rivolge ai suoi discepoli e a tutti noi con queste parole “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi sé stesso. Per seguire Cristo bisogna rinnegare sé stessi, cioè superare quelle barriere di orgoglio, presunzione ed arroganza che ostacolano l’incontro con il Cristo della Croce, ma anche della gloria. Per seguire è anche necessario prendersi sulle spalle la propria o le proprie croci e portarle senza colpevolizzare gli altri, fosse anche il peso dei nostri peccati e delle nostre fragilità e debolezze di ogni genere.

Una volta fatti i conti con la propria disponibilità interiore mettersi sulla via” di Cristo e del Cristo Crocifisso. Non soltanto del Cristo della gloria, ma soprattutto del Cristo morto per noi sulla Croce, in quanto il vero guadagno nella propria vita sta nel metterla a disposizione del vangelo della misericordia, della carità e della generosità. Non ci salviamo la vita con i soldi e con i piaceri da godersi senza freni, ma solo se la nostra vita diventa un dono e un sacrificio per gli altri.

Nel testo della prima lettura tratta dal profeta Isaia, il portavoce di Dio parla in prospettiva del futuro Messia sofferente e crocifisso, che verrà assoggettato alle vessazioni da parte dei suoi accusatori. Lui di fronte a coloro che lo accusano fa silenzio non reagisce e accetta la sfida di andare avanti per la sua strada della salvezza del genere umano. Gesù infatti, non oppone resistenza, non si tira indietro di fronte al dolore, addirittura permette loro che lo flagellino e l’offendono in tutti i modi; ma Lui, Figlio di Dio, sa che il Signore Dio lo assiste, per questo motivo Egli nella croce viene esaltato e non certamente svergognato.

Questo brano del profeta Isaia è uno dei testi tra i più importanti che fanno riferimento al mistero della croce del Signore.

In poche parole fa riferimento al processo che Gesù dovrà affrontare durante la sua passione e poi è morte in croce. Un brano tipico del periodo della settimana santa.

Anche la seconda lettura, tratta dalla lettera di San Giacomo Apostolo, che ci sta accompagnando in queste domeniche di fine estate 2021, ci presenta un aspetto molto importante a livello religioso: lo stretto rapporto tra fede ed opere. “Se uno dice di avere fede ma non ha le opere quella fede non lo può salvare da sola. E porta l’esempio di come coniugare nella vita di tutti i giorni la teoria con la pratica religiosa. “Se un tuo fratello o una tua sorella sono senza vestiti o sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dicesse loro andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi altrove ma non qui da me e di conseguenza non date loro il necessario per il corpo. A che cosa serve dire che si è credenti, si prega, si va in chiesa, si fanno tante pratiche religiose, se alla fede non corrisponde la carità, il bene che va fatto sempre. La fede se non è seguita dalle opere, in sé stessa è morta. Possiamo ben capire in questo testo come l’apostolo Giacomo metta in stretta relazione fede e carità, al punto tale che se manca la carità, la fede è solo una pia intenzione, ma niente di più. Diciamo che è soltanto una fede teorica ed astratta. Se la fede non ha un corrispettivo nella vita di tutti i giorni operando per il bene effettivamente questa è una realtà morta che non dà vita a sé stessi e agli altri. Bisogna passare all’azione ad essere disponibili ad aiutare coloro che sono nella sofferenza, nel bisogno e nella malattia, Perciò fare sempre il bene in qualsiasi momento e circostanza. Infatti se qualcuno ci chiede un vestito perché ne è sprovvisto o non ha niente da mangiare è un dovere morale del cristiano aiutare tutti senza fare differenze e discriminazioni. Non bisogna far finta di non capire o peggio volgere lo sguardo altrove per non aiutare. Se si fa questo, significa che non abbiamo capito niente della vera fede, la quale passa attraverso le opere di carità.

Giacomo ribadisce questo concetto biblico e teologico, dogmatico e cioè che la fede senza le opere è morta. E chi è morto dentro perché è incapace di amare e fare il bene, la fede non esiste davvero più in quella persona.

E allora vogliamo essere persone di fede? Per esserlo è necessario che la nostra fede si espliciti e manifesti attraverso le opere di bene, soprattutto nei confronti di coloro che si trovano in necessità e che ci chiedono aiuto.

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